venerdì 10 febbraio 2017

Dopolavoro auto-ferro-tranvieri: gita sociale.

Scrivo questo post dal Piemonte, dove sono rientrato da un paio di settimane per riposare un po' e per passare del tempo con la mia famiglia. La scelta dal punto di vista meteorologico non è inappuntabile visto che fa un freddo cane. Peccato che tutto il freddo che sto prendendo in questi giorni non vada a compensare le notti di luglio e agosto in cui non si dormiva per il troppo caldo. Siamo nati per essere insoddisfatti.

Nella mia ultima settimana a Tarrafal prima del mio rientro, ho avuto il piacere di ospitare il mio amico Max, che ho avuto modo di conoscere quando facevo stagioni. Io e Francesco abbiamo approfittato della sua presenza per mettere in esecuzione un'idea già pianificata mesi prima con Andreas.
Si trattava di andare ad esplorare una parte poco battuta dell'isola, quella che si trova al di là del Monte Graciosa, il rilievo che si vede sullo sfondo della baia di Tarrafal praticamente in ogni foto.
La zona, denominata con una fantasia degna di un ragioniere del catasto "Tras os montes" (dietro i monti - traduzione ostica), conduce ancora più a nord, alla propaggine estrema dell'isola e all'ultimo faro di Santiago. Il nostro obiettivo è stato quindi quello di arrivare al faro.


Si è trattato di una bellissima esperienza: una mezz'oretta di strada con il fuoristrada di Andreas seguito da una passeggiata di circa 40 minuti; il tutto immersi in una natura dove, sebbene i segni dell'uomo non mancassero, rappresentavano una trascurabile minoranza in un paesaggio fatto di piante, sterpaglie, locuste, vacche, rocce, vento e mare. Sorgendo il faro su una specie di promontorio, inoltre, per gran parte del percorso lo sguardo poteva spaziare a sinistra e a destra su scogliere battute dal mare con unico sottofondo il suono delle onde che si infrangevano sulle rocce. A sinistra, proprio dietro il monte, una spiaggetta grigia di ciottoli, a destra, scogliere a perdita d'occhio. Di fronte a noi, la strada per il faro.


Credo che capiti a molti di anelare un periodo di solitudine totale, lontani dal consorzio umano, isolati da tutto e da tutti e senza copertura del cellulare; periodo da trascorrere in un luogo remoto, dove ricaricare le batterie... per esempio un faro.
E nel tragitto, innamorandomi del paesaggio brullo e battuto dal vento e in cui non abbiamo incontrato anima viva, mi immaginavo di rinchiudermi per una settimana nel faro, con un libro, qualche provvista e il senso di libertà che una scelta del genere mi avrebbe regalato.
Però più ci avvicinavamo alla nostra meta, più un fastidiosissimo rumore di origine chiaramente umana andava a turbare i miei pensieri, distraendomi e costringendomi a ricercarne l'origine; finché non mi sono accorto che l'origine ero io, ovvero il mio fiatone perché avevo iniziato ormai da 10 minuti a sbuffare con un mantice. Per intenderci, parevo uno sherpa intento a trasportare il pranzo al sacco di Adinolfi fino all'ultimo campo base sull'Everest.
Arrivando al faro lo spettacolo era mozzafiato: un cubo bianco di muratura che si ergeva, essenziale e spogliato di tutto, anche della lampada, su un piccolo piano circondato dal mare. Solo vento, tanto vento a riempire i pensieri, profumo di salsedine misto a cacca di capra e desolazione. Romantica, avventurosa ed emozionante, ma pur sempre desolazione. Quel tipo di solitudine che richiama alla mente coloro che ami e che in quel momento vorresti vicini: per esempio, io ho pensato subito al mio divano.


Infatti è con un senso di appagamento misto a consolazione che ci siamo incamminati sulla strada di casa dove abbiamo festeggiato con una bella mangiata il nostro rientro nella civiltà, manco fossimo stati quattro hobbit di ritorno alla Contea dopo un viaggio a Mordor!

Se non vado errato, una decina di giorni fa Andreas ha passato una notte al faro; ma non quello della nostra escursione, bensì quello di Praia, trasformato in hotel e dotato di ogni comfort. Il furbo svizzerotto!

Il mio viaggio da Tarrafal a casa (da Santiago a Santhià), è durato circa 26 ore; manco l'Australia, a nuoto e col vento contrario. Certo, hanno influito vari fattori: aereo cancellato, scalo in Guinea Bissau, ritardo a Casablanca, bagaglio perso. In confronto quelli di Lost hanno avuto un volo tranquillo.
Ma il fatto è che ogni volta ce n'è una, ed è soprattutto per questo che il turismo sull'isola della capitale non è ancora strutturato per accogliere gli italiani.

Ora penserò a riposarmi e a rilassarmi. Perché come sanno tutti, l'Africa ti lascia sempre qualcosa dentro.
Vado a prendere l'antibiotico.