sabato 30 maggio 2015

Coi loro occhi.

Come ci vedranno gli stranieri quando siamo a casa loro? Ho sempre avuto questa curiosità, e devo dire che in generale noi italiani abbiamo un'immagine distorta di come siamo considerati all'estero; allo stesso modo di come guardiamo a noi stessi in maniera prevenuta e sbagliata.

L'esperienza degli abitanti di Tarrafal con gli Italiani è piuttosto limitata, se si considerano i nostri connazionali residenti qui. Ne ho contati in tutto 6 o 7, e in una maniera o nell'altra li ho conosciuti tutti anche se non si è creato questo gran rapporto, come tra persone che non hanno voglia di ritrovare qui quello che hanno lasciato a casa. Perché chi è venuto a vivere così lontano dal proprio paese lo ha fatto per un motivo: chi per un lavoro con meno stress, chi per trascorrere una pensione più agiata, chi perché ha trovato l'amore, chi perché ha trovato la droga a buon mercato. Insomma, una colonia che tale non si può definire, di pochi individui ma con motivazioni disparate.
Però diversi locali hanno avuto modo di lavorare a Sal o a Boavista, isole molto turistiche dove la presenza italiana è molto forte; quindi hanno avuto modo di conoscerci e di valutarci.

E devo dire che l'idea che hanno di noi non è affatto male. Ci considerano persone di cuore, generose, socievoli (a differenza di turisti generalmente più asettici, come tedeschi e olandesi). Insomma, piaciamo abbastanza!
Resta radicata l'abitudine dei nostri connazionale di lasciare mance anche importanti quando si viene a conoscenza di situazioni di necessità, e di portare piccoli aiuti sotto forma di regali, soprattutto ai bambini, e questo piace molto. Se lasciassimo per esempio mia mamma nell'arcipelago, nel giro di un anno i bambini, che già hanno un patrimonio genetico di 8 kg di guance, si ritroverebbero a galleggiare sferici tra un'isola e l'altra.

La cultura italiana è praticamente sconosciuta, ma non è difficile immaginare perché. Circa un milione di capoverdiani lavora all'estero, tornando al paese natio solo in occasione delle feste e portando influenze straniere. Quasi tutti da Francia, Svizzera, Portogallo e Stati Uniti. La penisola non è rappresentata, e a parte poche informazioni, quasi esclusivamente calcistiche, non ho incontrato molta curiosità nei confronti dell'Italia. Esiste però una colorita nicchia religiosa che vede il nostro Paese come meta di pellegrinaggio in quanto luogo natale di alcuni Santi molto venerati qui (a Tarrafal, Santa Rita da Cascia spacca!).

La cucina italiana piace, ma non è riconosciuta come tale. I capoverdiani adorano la pasta (massa) e sopratutto gli spaghetti, ma reinterpretati. E male! Considerano una prelibatezza, per esempio, un bel piatto di maccaroni con panna e pollo; io aggiungerei una manciata di crocchette e lo darei al cane, per una sana e corretta alimentazione da cortile.
Uno chef spagnolo che ha un ristorante qui, e che ho sempre e solo visto lucido di sudore (saranno i 120 kg che si porta appresso?), si è vantato con me dei suoi studi di cucina italiana. Ho aspettato per un'ora i suoi spaghetti ai frutti di mare; quando mi ha chiesto se mi erano piaciuti, ho risposto a denti stretti. Credo che in un paese civile, per un piatto del genere ci sia il carcere duro, tranne che in Corea del Nord e Texas, dove di certo gli avrebbero dato la pena di morte.
Giustamente.


Partire dall'Italia e pretendere la pasta buona a Capo Verde non è di certo la cosa più furba del mondo. Ma io non pretendo di essere tale; e poiché io furbo non sono, la giornata è stupenda e su Facebook compaiono le prime foto di prosciuttoni che rosolano sulle sdraie, io vado a spararmi una cerveja in spiaggia.

venerdì 22 maggio 2015

Gamboa Festival Vol. 2

Il Gamboa Festival si svolge su una spiaggia molto grande (e molto sporca!), e vi si accede da ingressi collocati praticamente a ridosso di una rotonda stradale.
Il traffico in zona è quindi estremamente congestionato, nonostante l'intervento della polizia che, a suon di bestemmioni in creolo, cerca di snellire e rendere fluida la circolazione.
Andreas, che ormai ha fatto il callo e non si formalizza, parcheggia bellamente sul marciapiede e si va.

L'ingresso costa 500 escudos, 300 tramite prevendita; il cambio fisso è 1 € = 110 escudos, quindi il biglietto costa circa dai 2,50 ai 4,50 €.
Poco, se li hai. Tantissimo, se sei senza!
Ne deriva che, per coloro che non hanno la possibilità di entrare, si crei una sorta di "controfestival" sul lungomare all'ingresso, con tanto di palco alternativo con gruppo che canta, bancarelle, venditori, bibitari. E ressa: tanta, tanta, tanta ressa.
Dal pericolo di borseggi e addirittura di vere e proprie aggressioni, ero già stato messo in guardia. Una volta, mi dicono, erano anche molto frequenti le risse; ma ormai lo spiegamento di polizia, esercito, finanza ed altro è veramente imponente.
Nel dubbio, io mi metto in tasca una banconota da 1000 scudi e lascio il portafogli in macchina, in modo da rendere più agevole il lavoro dei topi d'auto!

All'ingresso siamo in 8, tra ragazzi e ragazze, facciamo il biglietto ed entriamo. Lo spettacolo è grandioso: alla destra il mare, sulla testa il cielo stellato con la luna, davanti un palco illuminato e migliaia di ragazzi e ragazze che ballano. Tutto intorno bancarelle che vendono cibo e birra.
Mi soffermo un attimo sul concetto di bancarella. Si tratta di un ombrellone sotto il quale c'è un tavolino dove è appoggiato un fusto di birra che viene spillata in bicchieri di plastica. A lato, un piccolo barbecue sul quale sfrigolano cosce di pollo o tranci di pesce. I più forniti, vendono anche sigarette sfuse.



Sul palco si esibisce un gruppo rap che si chiama "Rapaz 100 Juiz" e che canta brani di forte critica sociale: contro lo stipendio dei deputati, contro i politici, contro la gestione della scuola, contro il costo della vita che non permette di arrivare a fine mese, contro il prezzo della benzina; qui tutti sembrano conoscere a memoria queste canzoni. Sarebbe facile scrivere che tutto il mondo è paese, infatti non lo faccio. Ma non posso non notare quattro rasta super-fattoni che ballano ogni canzone con lo stesso, ipnotico ritmo; anche nelle pause tra una canzone e l'altra, non smettono mai di dondolare.


Ci viene voglia di birra; non potevamo saperlo, ma si rivelerà un'impresa.
Un bicchiere di birra media costa 60 escudos (due settimane fa a Biella l'ho pagata, identica, 5,50 €) e nessuno dei venditori ha il resto alla banconota da mille. Dopo aver girato invano per un po', l'unica soluzione è raccogliere una decina di amici ed offrir loro una birra.
Il problema è che poi questi amici vogliono ricambiare; per risparmiare, moltissime ragazze portano in borsa bottiglie di plastica da mezzo litro piene di "Ponce", una sorta di crema alcolica, tipo il Baileys, ma a base di un liquore locale, il grogue, e aromatizzata ai gusti più disparati: fragola, menta, cioccolato. Ce ne offrono a fiumi: dolce, vomitevole, ubriacante!
Il festival è stato un successone di divertimento fino a notte fonda.

Infine, devo dire che l'uomo europeo un po' datato, ma non ancora da rottamare, incontra parecchi apprezzamenti. Ma può darsi che questo dipendesse dal molto alcol che girava. O piuttosto dalla voce, che si era diffusa, che stavamo offrendo da bere.

lunedì 18 maggio 2015

Gamboa Festival Vol. 1

Ciò che ho subito notato al mio rientro a Capo Verde è stato l'aumento della temperatura. Fa caldo, molto caldo, e sudo come Renzo Bossi alle prese con un'equazione. Fortunatamente sono molto attento alla mia salute, perciò reintegro i liquidi, i sali e le fibre con una fresca bevanda locale a base di acqua, malto e luppolo.

Venerdì sono stato a Praia per lavoro; ne ho approfittato per fermarmi e vedere il "Gamboa Festival", del quale avevo sentito molto parlare.
Il Festival prende il nome dalla spiaggia di Gamboa, probabilmente la più grande di Praia, dove già la mattina avevo avuto modo di notare un grande spazio cintato nel quale stavano finendo di montare il palco. Vi si sarebbero alternati 4 o 5 gruppi durante la serata, in un format simile al concerto del 1 Maggio di Roma.

Il Festival mi ha colpito, ma ancor più l'epopea per arrivarci.
Ci sarei andato col mio amico svizzero Andreas, che è qui da sei anni e che ha quindi stretto numerose amicizie. Inizio previsto della manifestazione h 22:00, termine h 2:00 della mattina; abbiamo convenuto, quindi, di non andarci troppo tardi.
Siamo entrati all'una e venticinque.

Innanzi tutto abbiamo preso un aperitivo e abbiamo deciso di andare a cena; prima però, Andreas mi ha presentato dei suoi amici e delle sue amiche e mi ha lasciato per accompagnare a casa un paio di essi. Io sono quindi rimasto con gli altri, a me sconosciuti, che parlavano in creolo e che quindi non capivo, limitandomi a sorridere ebete quando tutti ridevano (forse di me!). Dopodiché anche questi si sono divisi: io sono andato con due ragazze e un ragazzo, che mi hanno detto di seguirli.
Saliti su un taxi, siamo andati verso un quartiere senza illuminazione pubblica, dove già immaginavo di dovermi separare forzatamente dai miei organi interni (tranne il fegato che probabilmente non avrebbero voluto!).

Qui entriamo in casa di una delle ragazze che mi presenta la madre, lo zio, il fratello e si va a cambiare. Io resto solo con la mamma e lo zio che intanto guardano la telenovela, seduto sul divano, senza saper che dire.
Va sottolineato che qui sono davvero molto ospitali e puoi piombargli in casa a qualsiasi ora che ti accolgono col sorriso. Una volta due poveri Testimoni di Geova, probabilmente dei tirocinanti, hanno avuto la malaugurata idea di suonare a casa di mio papà mentre stava cenando. Mio papà ha elegantemente sciorinato una sequela di bestemmie tale, che uno dei due si è convertito ed è diventato leader di una setta satanista, l'altro ha fondato un culto incentrato sulla venerazione del volto di Donatella Versace.
Mentre mi stavo appassionando alla telenovela, torna la ragazza che intanto si è cambiata, ma non torna il ragazzo (mai più rivisto). Invece l'amica arriva con un'altra ragazza che, mi dicono, ha difficoltà nel parlare: sono una brutta persona, lo so, ma sono stato felice perché avevo finalmente una conversatrice al mio livello!

Sento Andreas, che ci aspetta con altri amici in un locale che si chiama "Sovaco de Cobra", letteralmente "Ascella di serpente". Con questa premessa inquietante andiamo a prendere un taxi per raggiungerli, passando per vicoli che nemmeno a Caracas o a Baghdad.
Arriviamo in questo locale che, a dispetto del nome, è molto carino, e si limita praticamente ad una serie di tavolini in una piazzetta.
La compagnia era piacevole, la caipirinha buona, il clima stupendo, la musica allegra.
Ed è da lì, con lo stomaco vuoto di cibo e pieno di alcol, che verso l'una ci siamo alzati per andare al Gamboa Festival, del quale parlerò nella prossima puntata.


In tutto questo, mi sono divertito molto, ma delle decine di persone che ho conosciuto quella sera, ricordo solo un nome: Ramon, il protagonista della telenovela!

martedì 12 maggio 2015

Il viaggio di ritorno.

Rieccomi da ieri a Tarrafal. Pigra, piccola città di mare dove nulla cambia, nemmeno il menù dei ristoranti. Ne hanno però appena aperto uno nuovo che si chiama "Buzio" (dovrebbe significare "conchiglia", una specie di vongola), dove ieri sera ho appunto mangiato questo mollusco buonissimo, cucinato in umido col pomodoro e accompagnato da riso. Costo del pasto 6 €, promosso a pieni voti!

Il viaggio è stato il migliore tra quelli che ho fatto per giungere a Praia: rapido e indolore. Purtroppo, da Bergamo a Sal, ho dovuto condividere l'aereo con una torma di vacanzieri che, si sa, quasi sempre amano prendere una vacanza soprattutto dal loro cervello.
Tra piedi aromatici, schienali reclinati a tradimento, colpi di tosse da sanatorio e conversazioni ad alta voce in bergamasco delle valli, il volo è stato comunque piuttosto piacevole.
Due note positive su tutto:
Punto 1 - La qualità della cena. Poiché io non viaggio con Ethiad, sono abituato ad aspettarmi sempre il peggio da quel che mi propinano. Couscous ghiacciato, cachupa alla cipolla, pasta scotta. Una volta con AirEuropa, per andare a Cuba, avevo prenotato un pasto vegetariano. Mi è stato servito un panino integrale ripieno di INSALATA! In un viaggio transoceanico di 9 ore... all'arrivo, per la fame, mi sono mangiato una scatola di Cohiba. E la cosa più crudele è che, prima di servirti queste schifezze, diffondono in cabina un delizioso profumo che fa pensare a chissà quali manicaretti. Credo che sia un deodorante per ambienti, tipo Glade, all'aroma "Rosticcery", ad uso esclusivo delle compagnie aeree.
A sto giro, invece, lasagna e insalata di mozzarelline. Gran lusso!
Punto 2 - L'assenza di bambini piangenti sull'aereo. Pensavo che fossero parte dell'equipaggiamento di ogni velivolo e che li caricassero insieme ai giubbotti salvagente. Invece mi sbagliavo.

Dalla prima, emozionante volta che presi un aereo ad oggi, ho notato che molte cose sono cambiate.
Per esempio, vuoi per il fatto che ormai tutti hanno già volato, vuoi per scaramanzia o vuoi perché non ci crede più nessuno, non c'è più un solo passeggero che segua le istruzioni di sicurezza dell'equipaggio a inizio volo. Anzi, con un paio di cuffie nelle orecchie sembra di assistere ad una Macarena ben coreografata.
Oppure, bisogna ammetterlo, sono di molto scesi i parametri estetici delle hostess. Per carità, sono temi delicati da toccare; ma la hostess bellissima che popolava il mio immaginario erotico è ormai estinta alla pari dei dinosauri. Sul volo che ho preso domenica, ce n'era una che quando passava nel corridoio svegliava i passeggeri seduti ad entrambi il lati toccandoli col culo. E purtroppo, non sto scherzando.

Poi ho scoperto che casa mia non è piccola, ma è grande quanto l'aeroporto internazionale di Sal!


La notte ho dormito a Praia. Sotto camera mia si sono dati appuntamento tutti i cani dell'isola formando un gioioso comitato di benvenuto che ha festeggiato, abbaiando, tutta la notte il mio ritorno.
Verso le 4 di mattina, insonne e con gli occhi gonfi, ho pensato con molta nostalgia all'Expo di Milano e, in particolare, al Padiglione della Cina.

giovedì 7 maggio 2015

In trasferta: in partenza.

Domenica 10 ripartirò per Capo Verde.
Risolto tutto il risolvibile in Italia, cercherò di risolvere l'irrisolvibile una volta a Tarrafal!
Come ogni volta che vado via proverò un senso di nostalgia, come se mi mancasse qualcosa. Credo sia la stessa sensazione che si prova il primo giorno di pensione, o dopo il pagamento dell'ultima rata del mutuo.


Il viaggio per Praia, partendo dall'Italia, è alquanto scomodo; non essendoci voli diretti, si è costretti a lunghi scali, anche di 7 ore, a Lisbona o a Casablanca, a seconda della compagnia aerea con la quale si sceglie di viaggiare.
La mia prima volta fu traumatica. Mi trovavo a Stoccarda per l'Oktoberfest e ho dovuto raggiungere i miei compagni di viaggio a Casablanca, per poi imbarcarci insieme alla volta di Praia. Quindi la mia tratta è stata Stoccarda-Amsterdam-Casablanca-Praia; lingue parlate in loco: tedesco, olandese, arabo, portoghese. Come sia riuscito infine ad arrivare, resta ancora uno dei grandi misteri dell'aviazione civile.
In particolare nutrivo dubbi sulla mia capacità di imbarcarmi a Stoccarda, poiché la sera prima non ero riuscito a mantenermi completamente sobrio e la sveglia alle 7.30 non aiutava di certo i miei neuroni; ormai il mio cervello è composto da materia grigia, materia bianca e materia rosé!
Va detto che però i tedeschi non si chiamano tedeschi per caso, sicché in 10 minuti mi sono trovato checkinato, perquisito ed indirizzato verso il gate. Ci mancava solo che mi avvolgessero nel cellophane come le valigie. Meno male che i controlli di sicurezza non comprendevano il test alcolemico...

Da allora ho sempre viaggiato su Lisbona dove, nelle molte ore di attesa, mi sono concesso ricche abbuffate di polpette di baccalà innaffiate di birra Super Bock dalle parti di Plaza do Comercio; il tutto dribblando i numerosi venditori di cocaina che ti propongono le loro primizie con la stessa disinvoltura con la quale qui gli indiani ti offrono le rose.

Prima di partire mi sto dedicando a ciò che poi a Tarrafal non troverò; oltre a vino e cibo, intendo anche un taglio decente.
Mio cugino mi aveva già sistemato i capelli, dopo l'ultima traumatica esperienza tricotico-capoverdiana, guardandomi la testa con la stessa espressione con cui io mi guardo sotto le suole dopo aver pestato qualcosa di morbido.
Ieri sono andato da una signorina della zona, simpatica e in gamba, che alla richiesta "fammi bello" è stata così educata da non scoppiare a ridere. Il taglio non è male, la faccia è quella che è!

Sono pronto a partire.
Spesso si dice "mi porterò dentro qualcosa dell'Italia". Io lo farò davvero: tipo 6/7 chili.