martedì 23 giugno 2015

Una giornata perfetta.

Mi capita ogni tanto di leggere su Facebook degli stati che recitano più o meno così: "Basta, mollo tutto e vado ad aprire un chiringuito su una spiaggia deserta". Nella mia vita ho avuto una sola esperienza di chiringuito, quando lavoravo in Messico; il mio amico Fabio mi ci ha portato in una pausa pranzo, via mare col gommone, disertando il ristorante del villaggio. Abbiamo mangiato un taco e bevuto talmente tanta cerveja che il nostro rientro è un mistero del mare secondo solamente al triangolo delle Bermude.
Da quel poco che ricordo, però, un chiringuito è un'attività commerciale, e come tale ha bisogno di clienti. Sicché l'idea della spiaggia deserta sarà anche romantica, ma non è proprio da mago del business.
La voglia di fuga e di relax tropicale, lontano da tutto e da tutti, si è oggi per me realizzata in maniera sublime.

Oggi a Tarrafal c'erano 37 gradi ben ventilati, un sole stupendo, cielo terso e spiaggia deserta. Sono andato a pranzo in uno dei ristoranti a me cari, direttamente su quella che è chiamata "spiaggia del Presidente", perché pare che fosse una volta riservata all'autorità.
Non c'era anima viva, tutta la spiaggia per me, tutto il ristorante per me.
Caldo, silenzio, rumore delle onde. Birra.
Oggi qui era veramente il paradiso, impossibile descriverlo meglio di così.


Mentre decidevo cosa ordinare (il tonno fresco grigliato era il candidato favorito nei sondaggi), si avvicina un ragazzo dalla spiaggia, che scopro essere un pescatore di aragoste. Ne ha tre, ancora vive.
Mi chiede "Ti interessano?" faccio una faccia di circostanza che non ingannerebbe un bambino e rispondo "Forse. Quanto vuoi?" "20 € l'una"
Gli offro 5 € e, crepi l'avarzia!, con dieci euro ne prendo due che spariscono nei meandri della cucina per prepararsi a terminare la loro esistenza nel mio stomaco, con buona pace dei vegani. Che rispetto, come rispetto tutte le filosofie, i credo e le religioni del mondo tranne quelle che mi suonano al citofono la mattina.

Due carapaci e tre bottiglie vuote dopo, quando già intravedo l'incubo del ritorno a casa sotto il sole, un angelo viene in mio soccorso assumendo le forme di una venditrice di noccioline americane. Così trascorro un'altra mezz'oretta all'ombra, sgranocchiando.
Ma ormai non ho più scuse: mi tocca affrontare la canicola per tornare a casa. Nel tragitto, davanti ad una casa incontro una bellissima bambina, che si chiama Alicia e che già conosco, che gioca con un cucciolo, dall'appropriatissimo nome di Ice (sai mai che cambia il tempo!). I due insieme sono uno spettacolo bellissimo, quasi commovente, e mi fermo a giocare con loro mentre le parenti della bimba mi offrono un succo di frutta.
A casa ho ancora dei palloni che ho portato da casa, ne vado a prendere uno e lo regalo ad Alicia.
Lo so che non è bello, lo so che non aiuta l'economia, lo so che per far del bene ci sono mezzi migliori. Però il sorriso di un bambino, perdiana!, è sempre il sorriso di un bambino e poiché è l'acquisto migliore per qualità-prezzo che si possa fare, sticazzi!


Oggi è stata una bella giornata. sono stato bene e mi sento felice. Tornando a casa nel pomeriggio, mentre incrociavo gli alunni che tornavano da scuola, una bambina che avrà avuto 7 anni allunga la mano per darmi il cinque. E con questo, sono in grado di sopportare anche il tacchino dei miei vicini che urla come se lo stessero scannando. Magari.

venerdì 19 giugno 2015

due-punto-zero

Qualche giorno fa mi trovavo in un bar a bere un caffè con un amico capoverdiano quando la radio, una delle poche che trasmettono anche brani internazionali, manda Nek con "Lascia che io sia" in versione spagnola. Poiché si stava parlando di musica, dico al mio amico:
"Per esempio, Nenè, questo cantante è italiano"
Mi risponde: "No, si chiama Nek ed è colombiano"
Ed io "No, davvero, è emiliano"
E Nenè "Non si chiama Emiliano, si chiama Nek, lo stanno dicendo proprio adesso".
E mentre lo speaker gli dava ragione, non ho trovato le parole per replicare.


Rispetto a qualche anno fa, andar via di casa ha ben altro sapore. I mezzi tecnologici hanno davvero accorciato le distanze, per usare un'espressione trita e ritrita.
Vedo per esempio mia mamma con una certa costanza su Skype sicché quando ci si rivede di persona, non sembra nemmeno di esser stati divisi così a lungo. E tutte le sere, con mio fratello e mia sorella nel nostro gruppo di Whatsapp, ci scambiamo la buonanotte con conversazioni in copia-incolla dal giorno precedente.
Sempre su Whatsapp ho commentato in tempo reale con un gruppo di amici, come se fossimo sul medesimo divano, la recente disfatta della Juventus in Champions League. E tramite Facebook, per la medesima occasione, mi sono preso più insulti di quanti ne avrei beccati stuzzicando Sgarbi in diretta TV.
Beh, pochi anni fa (pochi???) non era così.
Nel 1999, quando ero a Zanzibar, mio papà ha avuto la malaugurata idea di mandarmi via fax la pagina di un quotidiano riportante una notizia che mi interessava. Venti minuti e ventiquattromila lire dopo, mi arrivava un foglio completamente nero ed illeggibile; non ho mai avuto il cuore di dirglielo!
Partire per la stagione significava tagliare i ponti per mesi, senza praticamente sentire nessuno (i cellulari non erano ancora in auge), e senza condividere quello che facevi per mesi e mesi. Al limite, carta, penna e francobolli... E considerando la qualità di ciò che si condivide adesso, non era poi  tanto male!
Oggi è davvero tutto immediato. Ho saputo di un lutto al mio paese prima dei miei amici che ci vivono ed oggi ho praticamente partecipato in tempo reale, con foto e messaggi, al matrimonio di Elisa e Damiano (che sarebbero stati felici di avermi con loro, ma che hanno con la mia assenza risparmiato un millino di euro di alcolici!).

L'altra notte, svegliatomi per andare in bagno, mi sono accorto con sorpresa che mi avevano montato il bidet, a mia insaputa. Riscossomi un po' dal sonno, notavo sconcertato il colore rossastro del sanitario, nonché le lunghe antenne e le zampe mobili e vivaci. Ho chiesto scusa per non aver bussato e sono andato nell'altro bagno. Non sapevo di avere Samsa come coinquilino. Quando lo rivedrò gli chiederò la sua parte di affitto.

mercoledì 10 giugno 2015

Melting pot.

Il mio amico Andreas, dopo sei anni trascorsi senza una vera e propria vacanza, ha deciso di approfittare della bassa stagione turistica e di prendersi tre settimane di ferie. Si concederà un break in un posto di mare, esotico, lontano... Capo Verde. Lo svizzero ha bellamente deciso di trascorrere 20 giorni a Boavista, ospite sulla barca di un suo amico. Poverino, mi fa quasi tenerezza. Io, nel dubbio, ho deciso di spostare il mio ufficio e di lavorare dal terrazzo di Casa Strela, con questo panorama. Devo dire che, nell'ultimo mese, i miei problemi di pressione alta si sono notevolmente ridimensionati... Certo, anche una finestra sul grigio cielo milanese, con in sottofondo i melodiosi rumori del traffico, ha il suo fascino, ma non si può avere tutto.


I capoverdiani vivono in un'area di influenza culturale diversa dalla nostra. Mi spiego.
Nella mia ristrettezza mentale, di uomo occidentale cresciuto in un paese filo-americano, ho sempre dato per scontato che esistessero dei valori "globali"; personaggi, brand, artisti che, per la loro fama, fossero conosciuti in tutto il mondo.
Mi sbagliavo, e di grosso.
Ho iniziato ad accorgermene parlando di musica e dei Queen. Personalmente non credevo che esistessero persone che non conoscessero Freddie Mercury, ed invece è così. Mi dicevo poi "A maggior ragione poiché è nato in Africa" (come se un lituano dovesse per forza conoscere Nico Fidenco perché è nato in Europa... mmm... non so se il paragone è calzante).
Nulla. Freddie Mercury è sconosciuto. Proviamo con un nome che sicuramente conoscono: ho comprato qui delle tazze per la colazione con Snoopy, conosceranno i Peanuts! Macché! Sarò più specifico. "Conosci Charlie Brown?" "Sì, questo nome l'ho già sentito! Si tratta di uno scrittore?".
Spero che non si tratti di Dan Brown perché sarebbe una beffa che, con tutte le cose che qui non arrivano, facciano eccezione dei romanzi così inutili.
Ho provato con altro: Amazon, George Clooney, Leonardo Di Caprio. Nulla.
Questo non è per dire che siano ignoranti, perché non è così e non lo penso. Solo che le loro aree di influenza culturale sono differenti dalle nostre.
Per esempio, amano la musica colombiana, mentre io della Colombia conoscevo solo altre produzioni non discografiche. Oppure la musica angolana. Che per noi "Angola" nel migliore dei casi è uno stato africano non meglio localizzato. Nel peggiore, una canzone di De Crescenzo.

La scorsa settimana, a Praia, sono entrato in una farmacia per cercare fermenti lattici, che qui sono difficilissimi da trovare.
Questa farmacia li aveva. Una scatoletta costava 25 € e scadeva il giorno dopo. Glielo faccio notare, ma mi rispondono, col tono di chi insegna ad un bambino un po' tonto una cosa ovvia, che la data di scadenza di un medicinale è un consiglio e di non farci caso. Grato per questa nuova perla, non li ho comprati.
Non ho potuto fare a meno di notare, però, una scatoletta nera che faceva bella mostra di sé, unica e solitaria e con aria minacciosa, su uno scaffale in una vetrinetta chiusa a chiave. Sopra c'era scritto "Condom XL".
Le domande hanno iniziato ad affollare la mia mente, ma una su tutte: XL secondo parametri generali o secondo criteri locali? Perché, nel secondo caso, la faccenda diventava quasi terrificante. Ero tentato di chiedere informazioni, ma la presenza della commessa, carina e sorridente, mi ha chiuso un po'. La prossima volta li compro, perché io VOGLIO sapere. Nel peggiore dei casi, faccio un buco per la faccia e mi creo dei keeway economici!

Da un paio di settimane soffro di disturbi alla pancia. Poi, qualche giorno fa, riempiendo dal rubinetto una bottiglia di plastica per bagnare le piante, ho notato che l'acqua scendeva verde. Da allora mi preparo il caffè con l'acqua in bottiglia e sto meglio.
Non male per uno che gira il mondo da ormai 17 anni.

Ora torno a scrivere mails in portoghese. Chissà quante cose imbarazzanti produco, altro che le traduzioni nei menù dei ristoranti cinesi! E, devo ammettere, la cosa mi diverte molto. Cosa c'è di più ingenuo di un povero italiano che dice parolacce e si nasconde dietro la sua ignoranza linguistica?

martedì 2 giugno 2015

Fine settimana creolo.

Qui a Capo Verde si è appena concluso un week end lungo, composto da sabato-domenica-lunedì, perché ieri era la festa nazionale dell'infanzia. Di conseguenza, centinaia di persone si sono riversate a Tarrafal da Praia, la capitale, per sfuggire dalla calura e per trascorrere un fin de semana di mare, con la famiglia, sulla spiaggia più bella dell'isola. C'è stata parecchia animazione: un assaggio di quello che succederà d'estate, quando da tutto il mondo rientreranno gli "emigranti" per le ferie.

Da Praia sono anche arrivati cinque amici miei e di Andreas, che sono stati nostri ospiti in questi giorni. Ne abbiamo approfittato per uno "scambio culturale" confrontandoci sulle molte differenze tra la quotidianità capoverdiana e quella europea.
Abbiamo quindi deciso di passare il sabato all'europea e la domenica alla creola.
Non mi dilungo nel raccontare le varie diversità nel modo di trascorrere le feste, anche perché in realtà non sono così accentuate come pensavo. Stare in famiglia, grandi mangiate, qualche scampagnata, giocare con i bambini: le tradizioni locali ben si adattano al mio retaggio meridionale. Anche il fatto di non capire bene la lingua, ma questa è un'altra questione.
Il cibo, ovviamente fa la differenza.

Sabato abbiamo fatto colazione all'europea: caffelatte, biscotti, pane tostato, succo di frutta, uova, marmellata, frutta fresca. Colazione che si potrebbe definire "continentale", e che qui è stata apprezzata, in quanto già conosciuta e sperimentata.
Diversamente è andata per il pranzo. Mi sono sbizzarrito in una versione locale di "fusilli ai quattro formaggi": nonostante la difficoltà nel reperire i prodotti caseari adatti (formaggio giallo olandese, formaggio bianco di Fogo e l'ultimo pezzo di Parmigiano che mi aveva fedelmente seguito dall'Italia), nonché la pasta giusta (sulla confezione c'era scritto "Fussili"), devo dire che il risultato è stato più che dignitoso. Anche Andreas ha gradito. Gli amici del luogo, invece, dopo due forchettate hanno iniziato ad accampare scuse a proposito di una improvvisa quanto inattesa sazietà... ma io sono scaltro e non ci sono cascato! Semplicemente, non gli è piaciuta la mia pasta.
Cena in campo neutro: pizzeria, sempre gradita, e poi a letto dopo una giornata all'insegna dei carboidrati che nemmeno Giorgione Orto e Cucina!

Domenica: colazione al mercato, dove diversi "chioschetti" cucinano fin dall'alba. Specialità Sopa, una sorta di minestrone con carne, in questo caso bovina, dentro la quale è stata cotta della pasta fino a renderla ultra-scotta. Ovviamente, da insaporire con olio piccante. Ancora più ovviamente, da accompagnare con la birra. Il mio fegato ha iniziato quindi a ringraziarmi già alle 9 di mattina.


A pranzo cucina casalinga. Fette di costolette di maiale dapprima insaporite con un pesto di aglio, prezzemolo, peperoncino e non so che altro (credo zampa di drago, ma non sono sicuro), poi cotte in pentola con pomodoro e cipolla. Quando pensavo che fosse pronto, anziché esser servite in tavola, le costolette sono state passate nell'uovo, nel pan grattato, fritte e poi accompagnate da uovo (fritto) e patatine (fritte). Il mio fegato ha chiesto asilo politico in Angola.
Alla fine delle operazioni, i muri della cucina erano talmente impregnati di olio che ci si vedeva attraverso. Purtroppo avevo anche le lenzuola stese, e la notte seguente ho sognato di dormire dentro un cassonetto di Burger King.
La sera, per riappacificarci con il mondo, cena di pesce; non me la sono sentita di aggiungerci altro.


Alla fine è stato un bel fine settimana, che abbiamo concluso ieri portando, per la festa, caramelle ai bambini negli asili. Ho chiesto alla maestra "ne avete tanti?", mi ha risposto "Oggi no, solo 135!".
Mi sono un po' preso male, ma poi mi sono sciolto quando una bimba piccolissima è venuta verso di me con le mani alzate per abbracciarmi. Ho provato un'emozione fortissima, anche se solo per pochi secondi: il tempo di accorgermi che voleva, tenera, solo pulirsi le mani appiccicose di caramella sulla mia maglietta.