mercoledì 30 novembre 2016

Sono vivo e sono qui.

Due giorni fa la mia amica Valeria mi ha fatto notare, con una gentilezza comune solo a lei e al Grinch. Che da un po' di tempo non aggiorno il blog. È vero, lo ammetto.
La tecnologia purtroppo gioca contro e quindi, mentre voi vivete nel 2016, io sono ancora per molti versi negli anni 80/90 e sto scrivendo queste righe sul mio StarTAC.


Qui a Tarrafal tutto bene, è il periodo dell'invasione dei turisti bianchi, quelli che fuggono dal freddo rifugiandosi nelle calde ed accoglienti temperature capoverdiane.
E molti di questi sono personaggi ben strani.
Ovviamente il primo effetto di questa tendenza è un proliferare di coppie lei bianca-lui nero, anime gemelle che la sorte beffarda ha fatto nascere a migliaia di chilometri di distanza, ma che per una meravigliosa e perfetta sincronia astrale si ritrovano tra miliardi di altre anime per vivere una eterna storia d'amore di una settimana.
Dopodiché, quello che accade a lei non lo so. Il lui, generalmente, è così affranto dalla separazione da dover soffocare il dolore tra le braccia della successiva storia d'amore (eterna).

Il visitatore bianco ama la formula turista-fai-da-te. Quindi capita spesso di vedere coppie tedesche dal saldalo in cuoio sul calzino immacolato, e dalla pelle ancora più immacolata (il primo giorno; dal secondo fluo, dal terzo squamato), che si aggirano per il paese con l'occhio del mercante arabo vissuto 40 anni nel suq di Algeri, per poi comprare terribili pareo made in China che esibiscono la scritta “Viva Cabo Velde” e pagandoli decine euro, per ricevere il resto in banconote del Monopoli in versione Angolana.
Sul cibo poi, le stesse persone che a casa sono nazi-igienico-salutiste, qui si fanno abbindolare da alcuni rasta sulla spiaggia che non hanno conosciuto il sapone nemmeno sui libri, ma che propinano un'ottima “cucina naturale”, consistente in pesce cucinato direttamente in spiaggia, nella sabbia, su un fuoco di alghe secche, carapaci di scarafaggi e sterco di animali estinti con l'ultima glaciazione.
Però quando vengono a mangiare da noi, se il bicchiere è un po' alonato, se il pesce grigliato non sorride o se l'aragosta non gli fa il nuoto sincronizzato nell'acqua di cottura, allora no! Non va!

A casa bene. Il gatto fa cose da gatto. Tra l'altro abbiamo scoperto che è maschio, quindi sarà opportuno cambiargli nome perché Selma non è adatto. Vedremo se rimanere in area Simpson o cambiare. Vista la sua vergognosa propensione a mendicare il cibo, “Barbone” sarebbe indicatissimo.
I cani mi danno da pensare. Credo che conoscano i giorni della settimana.
La donna delle pulizie viene tutti i giorni dal lunedì al venerdì. E il cortile dove i cani passano la maggior parte del tempo resta lindo e pinto tutta la settimana. Ma appena se ne va la donna, verso le 13 del venerdì, taaaac, puntuali come un treno giapponese, scagazzano senza vergogna, e così dobbiamo tenerci il frutto del loro intestino per tutto il fine settimana o metterci di santa pazienza e far sparire il misfatto.

Passerò qui il Natale. Il clima è buono e non mi dispiace particolarmente.
Ho solo qualche problema con gli indumenti. Vuoi perché si logorano, vuoi perché Odette si ostina a stenderle al sole diretto, vuoi per i buchi fatti da alcuni insetti che hanno il coraggio di nutrirsi di tessuto intriso del mio sudore, il numero delle mie magliette è di molto calato.
Ma ho due polo tarocche comprate in Tunisia che non demordono. Grazie al loro equilibrato filato composto al 50% di acrilico, al 40% di eternit e al 10% di maledizioni in sumero, tengono botta e sono uguali al giorno che le ho comprate.
Però sono così sintetiche che se soffia un po' di vento si elettrizzano al punto che sparo fulmini che Thor in confronto è un liceale che fa gli esperimenti di Galvani con le rane.

Ora devo andare che c'è la notte tipica e ci sono le ballerine. La settimana scorsa una si è offesa perché le infilato una banconota nel gonnellino.

Ah, questi muri interculturali non cadranno mai abbastanza presto!

venerdì 7 ottobre 2016

Vamos a la Praia!

La stagione delle piogge è agli sgoccioli ed il termine è davvero appropriato. Però quando il cielo decide di lasciarsi andare, Noé levati!
Come ogni anno le piogge hanno portato vita e abbondanza: le pecore sono piene di agnelli, le scrofe di porcellini, le vacche di vitelli, i miei cani di zecche, il gatto di pulci e io di batteri con una bronchite da due cicli di antibiotici. E vengo da Biella, città talmente fredda e piovosa che su Rai 3 anziché "Un posto al sole" trasmettono "Un posto".


Ho avuto un interessante scambio di mail con un italiano che è incappato nel mio blog e che voleva il mio parere su un suo eventuale trasferimento a Capo Verde. Mi ha spiegato che inizialmente la sua scelta era caduta sulle Canarie, ma che dopo esserci stato per una vacanza-sopralluogo, ha deciso che fossero "troppo inflazionate di italiani" [sic] per le sue aspirazioni. Ha allora volto lo sguardo verso Capo Verde ed è entrato in contatto con un'italiana che vive qui e che fa consulenza (retribuita) per connazionali che desiderano trasferirsi. Insospettito dal fatto che la signora gli dipingesse la vita capoverdiana come un paradiso a 360°, ha voluto sentire la mia opinione e qui in seguito provo a riassumere i vari temi trattati.

Per prima cosa Capo Verde è formata da 10 isole e ognuna è diversa come popolazione, come cultura e come economia. Non conoscendo le peculiarità delle altre isole, alcune molto famose dal punto di vista turistico come Sal o Boavista, preferisco parlare solo dell'isola di Santiago sulla quale risiedo e sulla quale ho un ristorante.
Mi sto dunque riferendo all'isola di Santiago, dove si trova la capitale Praia; isola che da sola supera come numero di abitanti tutte le altre prese insieme.

Cosa c'è di vero e cosa c'è di falso nel dipingere Capo Verde come un paradiso perfetto?
Allora, innanzi tutto le bellezze naturali. Vero, verissimo, Capo Verde è stupenda; stiamo però parlando di lasciare l''Italia, non il Lussemburgo (con tutto il rispetto), quindi il bilancio in fatto bellezze naturali, culturali e artistiche pende decisamente dalla parte del bel paese.
Il clima: vero, clima temperato, tra il 25 e i 35 tutto l'anno. Considerando quanto si spende di riscaldamento per esempio in Piemonte, vince Capo Verde tutta la vita.
Tenore di vita: estremamente personale come scelta, perché ambire a un determinato stile di vita ha dei presupposti soggettivi. Mi avevano detto una volta che "Capo Verde è il paradiso per chi non vuole fare un ca**o." Direi di sì. Se si arriva qui con una rendita, anche non eccessiva (una pensione italiana per esempio), si può davvero passare la giornata tra mare, sole, palme, pesca, aperitivi e tutte quelle attività per le quali ci sentiamo più predisposti rispetto all'inserimento dati o al recupero crediti. Inoltre, particolare non di poco rilievo, pare che la pelle bianca sia molto amata dai giovani e dalle giovani del posto, sicché chi la indossa, a prescindere dall'età, può vivere una seconda giovinezza amorosa senza molte difficoltà. So che questo spesso viene giudicato poco etico e io non sono molto bravo nel prendere posizioni rigide su determinati argomenti, ma con tutti gli esportatori di violenza e guerra che se vanno in giro a testa alta (magari con un Nobel per la pace in saccoccia), qualche esportatore di amore magari può fare solo del bene.
Per chi la rendita non l'avesse, tocca inventarsi un lavoro. Perché la vita a Capo Verde non è affatto a buon mercato.
A Tarrafal gli affitti sono praticamente uguali a quelli di un capoluogo di provincia italiano, la corrente e l'acqua sono molto care; mentre in un discount in Italia con 30 € qualcosa lo compri, qui con la stessa cifra te ne esci col carrello vuoto. La media di spesa in un ristorante è di 15/18 € e i prodotti importati, praticamente tutti, arrivano a costare 3 volte quanto li paghiamo in Italia. Incredibilmente anche i prodotti di produzione locale, quelli che chiameremmo "a km 0", sono cari e un chilo di banane raccolte sull'albero di casa è venduto allo stesso prezzo di un chilo di banane della coop, reduce da un viaggio sicuramente più lungo.
Si, va bene, vuoi mettere la qualità e i pesticidi e la natura e blablabla, ma il costo è sicuramente sproporzionato rispetto al salario medio.
Proprio per il salario basso, uno straniero non potrebbe, a mio avviso, che dedicarsi all'imprenditoria. E qui i campi sono tanti e promettenti, ma meglio ricordarsi che qui la burocrazia, in quanto lentezza e puntigliosità, non scherza affatto.
Con il nuovo governo pare che determinate occasioni di sviluppo si stiano sbloccando.
L'aeroporto internazionale di Praia si sta ingrandendo, stanno costruendo un mega-resort a Praia e pare anche uno a Tarrafal (presentato oggi), nuove compagnie voleranno su questa destinazione mentre quelle vecchie aumenteranno i voli.
I capoverdiani benestanti e quelli di rientro dall'estero vogliono qualità e servizi che qui non si trovano, più per mancanza di professionalità che di volontà.
Insomma, il clima è fecondo per fare una scommessa. Male che vada, si torna a casa con qualche euro in meno e con della vitamina D in più!

In pratica, il mio consiglio a questo nuovo amico è stato: dai retta a me, fai come ti pare!

Io e Francesco abbiamo preso l'abitudine di cenare una volta ogni 15 gg con gli altri italiani di qui: Jonathan e Rosi, con suo marito Giulio, capoverdiano. Può darsi che questi ultimi un giorno vadano a vivere in Toscana. Io e Francesco, da anime caritatevoli quali siamo, non possiamo permettere che Giulio si trovi impreparato e abbiamo deciso di dargli lezioni di italiano personalizzate... in fondo, andrà in Toscana, la regione più cattolica d'Italia!

giovedì 22 settembre 2016

Il lasciapassare A38


Mi capita spesso di leggere, soprattutto su Facebook, articoli di blogger che raccontano la vita all'estero descrivendola come un paradiso e incoraggiando gli italiani a trasferirsi per scoprire mondi all'insegna dell'efficienza, della snellezza burocratica, della tassazione ragionevole e dei rapporti umani improntati sulla cordialità e il rispetto.
Ora i casi sono 3. O in 20 anni di viaggi ho sempre visitato i Paesi sbagliati, o sono io che ho un carattere difficile e brontolone (e questo ci sta), o molti di questi scrittori del web conoscono il mondo solo attraverso Google Maps.
Non voglio sminuire nessuno degli aspetti positivi che Capo Verde offre, ma determinati stereotipi andrebbero quanto meno rivisti.

Voglio quindi scendere nello specifico per quanto riguarda l'esperienza che stiamo passando io e Francesco.
La partenza è questa: abbiamo un'impresa qui con tutte le autorizzazioni e le licenze; inoltre diamo lavoro a 12 persone, paghiamo tasse e contributi. Abbiamo quindi bisogno di un "Visto" che ci permetta di rimanere nel Paese per un periodo più lungo rispetto a dei semplici turisti. Esiste, quindi, un Visto che si chiama "di residencia" e che abbiamo deciso di richiedere agli organi preposti.
Venendo da un paese che ha fatto della burocrazia il suo biglietto da visita nel mondo, nonché parcheggio per migliaia di lavoratori dalla preparazione molto spesso dubbia, pensavamo che per noi sarebbe stata una passeggiata. Non immaginavamo che in questo gioco avremmo dovuto affrontare dei veri maestri: qui la burocrazia portoghese, amante dei formalismi e dei regolamenti al limite del barocco, è interpretata da funzionari africani. Siamo come i Looney Tunes che affrontano a basket gli alieni nerboruti, ma senza Michael Jordan dalla nostra parte!

Cosa serve per fare richiesta del "Visto di residenza"? A seguire elenco dettagliato, in modo che i futuri capoverdiani di adozione sappiano cosa attende loro.

- Passaporto valido (e ci mancherebbe!)
- Fotocopia del Visto di entrata nel Paese (ok, ci sta)
- Certificato del Registro Criminal di Capo Verde (e si paga, 5 eurini). Praticamente corrisponde al casellario giudiziario italiano
- Casellario Giudiziario Italiano (già che l'abbiamo nominato, potevamo farcelo mancare?). Comodo da avere: basta tornare in Italia, fare domanda con 25 € di marche da bollo al proprio Tribunale di competenza, ritirarlo dopo minimo 24 ore e il gioco è fatto. Semplice? Affatto! Dopo va fatto tradurre da un traduttore certificato, vidimato con timbro del Console di CV in Italia o con il timbro del Ministero degli Stranieri di CV. Altri 17 €
- Attestato medico. Ti guardano in faccia, ti parlano del Benfica, ti rilasciano il certificato, 10 € grazie. Prego. Guardi che scade tra un mese, faccia in fretta.
- Attestato che dimostri di essere in possesso di adeguati mezzi finanziari di sussistenza
- Comprovativo di alloggiamento. Nel nostro caso, il contratto di affitto della casa. Eh, ma manca il timbro del Comune, e torna a Tarrafal, e in Comune non si può entrare in pantaloni corti, vai a casa e cambiati con 40 gradi, e il funzionario non c'è, e il dottor Tomas non è in sede, e processione di Santi con statue che piangono sangue e alla fine ce la facciamo
- Contratto di Lavoro. I documenti societari, ma qui Francesco non c'è, gira pagina, è vero è qui. Vai a fare doppia copia. Sotto il sole di mezzogiorno.
- NIF. Che corrisponde al codice fiscale. Rilasciato in carta semplice, un A4, ogni volta che lo perdi e devi rifarlo sono 7 eurini
- Iscrizione all'INPS, perchè quando sarò vecchio, gli altri anziani al bar si lamenteranno della pensione. Io mi lamenterò delle pensioni.
- 3 fototessere, per scoraggiare anche i cuori più pietosi
- Cadasto Policial - praticamente un foglio della Polizia che dice che non abbiamo sospesi con la legge. Un deja-vu
- Attestato di residenza - rilasciato dal Comune. Ma che cazzo, mi hanno già timbrato il contratto di affitto!!! Ma dove volete che risiediamo???
- Cadasto Policial della Policia Giudiciaria - Dico, ma state scherzando???
- Pagamento, ovviamente, di una 50 di eurini a testa per tutto il processo. Del resto, quei poveracci che si dovranno leggere tutti sti fogli, andranno pagati o no?

Siamo riusciti a produrre tutto, ma attenzione! Il Visto di ingresso intanto è scaduto, quindi altolà, dovete rifare prima il Visto. Servono:

- Passaporto (ma va?)
- Registro Criminal di Capo Verde (ma siete fissati!)
- Attestato Medico (non so se me lo rilasciano... la pressione è pericolosamente salita dall'ultima volta!)
- Certificato internazionale di Vaccinazioni (Gesù benedetto, e adesso? Diamogli una copia della tessera sanitaria, al limite ci comprano le sigarette alla macchinetta)
- Fotografia (bene, una è avanzata!)
- Documenti societari (di nuovo)
- Fotocopia dell'ultimo Visto, scaduto aspettando i loro documenti!
- Iscrizione all'INPS (mi uccido, giuro)
- NIF
Rimane in sospeso la multa da pagare, per il Visto scaduto, il cui ammontare dipenderà, ci è stato detto chiaro e tondo, dall'umore del funzionario.

Prima di andare via, la signora ci ha detto che ritira tutti i documenti, ma che c'è la possibilità che sia necessario un sopralluogo della Polizia in casa per verificare che veramente abitiamo lì. Malfidenti. Nel dubbio il sopralluogo sarà a carico nostro.
E ci avverte anche che il processo dura dai 6 mesi a 1 anno e inoltre non esiste la certezza che venga accettato.
Infine che si riservano di richiedere ulteriore documentazione. Io non ho più nulla da mostrare, non un documento, non un certificato. Mi resta solo lo Spermiogramma, se vogliono...

A tal proposito, io e Francesco abbiamo sottovalutato il mezzo più veloce e semplice per ottenere il medesimo risultato: contrarre matrimonio.
Che, per inciso, è l'unica cosa che ancora non abbiamo contratto qui.

PS la foto in testa al post non c'entra nulla, ma è tenera e almeno mi disintossico un po'!

lunedì 5 settembre 2016

Cronaca di sexta feira.

Ieri sera, sul divano, mi sono chiesto: chissà che cosa si prova a non avere la pelle appiccicosa? Sono giorni ormai che sono perennemente sudato e mi manca la sensazione di asciutto, mi manca quasi il freddo!
Poi ho staccato faticosamente il mio corpo dal divano cinese in finta pelle-linoleum-amianto e sono andato a dormire.

Venerdì io e Francesco abbiamo passato la giornata (nonché la notte seguente) a Praia.
Il motivo che ci ha portati per l'ennesima volta nella capitale è sempre lo stesso; avendo un'attività commerciale, non possiamo restare nel paese con un visto turistico ma dobbiamo ottenerne uno specifico, il "Visto di Residenza".
Semplice? Semplicissimo. Grazie, la sua soddisfazione è il nostro miglior premio!
All'uopo ci è stata consegnata una lista di documenti da produrre che quando a Ercole comunicarono le 12 fatiche, di certo l'ha presa meglio!


Da allora è iniziato un andirivieni Tarrafal-Praia che ci vedeva ogni volta tornare sconfitti: e una volta un documento era incompleto, e una volta il software non andava, e una volta il timbro era blu e lo volevano nero, e una volta il foglio di carta era troppo foglio e via di questo passo.
Da Tarrafal a Praia la strada in realtà non è granché lunga, trattandosi di 70 km. Ma sono 70 km di salite, discese e soprattutto curve, ognuna delle quali é stata da noi intitolata ad un Santo differente.
Il problema di venerdì qual era? Il casellario giudiziario.
In pratica il tribunale del luogo di residenza in Italia ha la bontà di dichiarare per iscritto, su un elegante foglio A4 arricchito da circa 25 € di marche da bollo, che non esistono pendenze a tuo carico. Il tutto si traduce sostanzialmente in una parola: "NULLA". Il problema consisteva nel fatto che "NULLA" fosse scritto in Italiano, mentre loro lo pretendevano tradotto in portoghese, da parte di un traduttore certificato e in più timbrato sul retro dal consolato IN ITALIA. Già che c'erano potevano chiedere un sigillo in ceralacca fatto di merda di unicorno. Ma chi traduce? Nessuno ne sa nulla e la gentilissima (per davvero) signora dell'Ufficio Visti che se ne stava occupando ha fatto almeno 5 chiamate prima che qualcuno le dicesse che forse la cugina del cognato del vicino di casa era una traduttrice. La traduttrice è arrivata e, benché il Consolato Italiano a Capo Verde non sia rappresentato, dopo 2 ore avevamo la traduzione e il timbro.
Ovviamente pagando. Credo che si chiami Consolato perché proprio di quello avremmo bisogno: di consolazione!

In seguito siamo andati a sistemarci in hotel. L'unico parametro di scelta che ci siamo imposti è stato la presenza di aria condizionata visto che la notte nella nostra casa non si riesce a dormire per il calore. Probabilmente è collegata per vie arcane con il cratere dell'Etna.
L'hotel non era nemmeno brutto; ma probabilmente lo era la casa a fianco, visto che il proprietario ha deciso di ristrutturarla affidando il lavoro ad un instancabile operaio armato esclusivamente di martello. Questo indefesso paladino dell'arte edilizia non ha smesso di battere finché sono rimasto in camera, dandomi appuntamento per la ripresa dei lavori al mattino successivo, sabato, puntuale alle 8.
L'unico lavoratore puntuale e ligio al dovere dell'arcipelago l'ho beccato io! E martellava così da vicino che sembrava di averlo in camera... ho fatto male a non controllare che ci fosse tutto nel frigobar.

La sera dopo cena dovevamo aspettare che il nostro amico George chiudesse la sua enoteca per portarci in giro per locali. George è un simpatico portoghese che ha assunto per noi il ruolo di novello Virgilio nell'Inferno di Praia. A due passi dal suo negozio c'è un locale dove si fuma il narghilè e dove io e Francesco ci siamo recati per ingannare l'attesa. Il luogo non era granché, anzi! Sembrava una sala di attesa di autobus ormai dismessa da anni, e la nebbia all'interno avrebbe fatto tossire anche il Brucaliffo!
Ma alla fine con un gin tonic in una mano e un narghilè nell'altra, la situazione era sopportabile. Nel locale c'erano anche tante ragazze che cercavano di attirare le attenzioni dei maschietti soffiandosi il fumo di bocca in bocca e assumendo pose sensuali e provocanti. Io e Francesco eravamo troppo immersi in una discussione sull'interpretazione di alcuni aspetti della filosofia di Kant su cui eravamo in disaccordo, per farci caso.
Dopo due ore nel locale, verso mezzanotte, siamo usciti all'aperto nella piazza del Palmarejo, quartiere commerciale e residenziale che a quell'ora pullulava di vita. Abbiamo quindi purtroppo assistito ad uno scippo nei confronti di una ragazza, fenomeno molto frequente in questa città. Questa volta però il delinquente non ha avuto fortuna. In un bar di fronte erano seduti tre poliziotti in borghese che sono partiti all'inseguimento e l'hanno acciuffato in due minuti. Dopo pochissimo sono arrivate due macchine della polizia, ma in tempi veramente rapidi. Una delle due apparteneva alla polizia che si occupa di lotta alle bande criminali, e quindi, per evitare rappresaglie, operano indossando il passamontagna.
Ora, io ormai ho smesso di stupirmi della prestanza fisica degli uomini del posto. Ma questi due, lo giuro, erano due giganti di ebano con i bicipiti delle dimensioni delle mie cosce. Inumani.
Quel povero cretino del ladruncolo non ha nemmeno abbozzato una qualsivoglia resistenza: ammanettato e condotto via nel bagagliaio dell'auto. In seguito, la ragazza scippata ci ha scritto dal posto di polizia per dire che avevano recuperato la borsa e al momento stavano interrogando il giovanotto usando molta comunicazione non verbale.
Cose che capitano.


Una volta raggiunti da George siamo andati in un bellissimo locale pieno di bella gente, cocktail fantastici e musica revival e ci siamo rimasti fino alle 4. Il nostro rientro in hotel è stato battezzato da uno scroscio di pioggia tropicale giusto per aggiungere un po' di malessere al risveglio, come se alcol, poco sonno e martellate non bastassero.
Fortunatamente, la colazione valeva la pena!


lunedì 22 agosto 2016

Sono arrivati i Cinesi non si vende più niente (niente più, niente più)

I capoverdiani hanno la musica nel sangue.
Lo so, sto cavalcando uno stereotipo vecchio e abusato, ma è così. Soprattutto in estate poi, epoca in cui le famiglie si riuniscono poiché gli emigranti rientrano per le ferie, ogni occasione è buona per festeggiare. Mi stupiscono certe cene che si protraggono fino all'alba con decine di invitati (le famiglie qui sono parecchio ramificate), convivi questi in cui si risolvono i problemi logistici semplicemente spostandosi all'aperto. Si chiudono le strade e chi deve passare fa il giro. Semplice, no?
I miei vicini, e non solo loro, adorano un tipo di musica che si chiama "cotchi po" e che ascoltano per ore di seguito a tutto volume. Io non so come facciano, visto che io e Francesco, dopo circa 3 minuti che subiamo il bombardamento sonoro, già meditiamo il suicidio. Può darsi che sia l'equivalente della musica che mettono ai rave in Italia, ma io non lo saprò mai, visto che non ho mai partecipato ad un rave ed ho ormai più che doppiato l'età utile per fare questa esperienza. Grazie al cielo.
Se volete sentire il "cotchi po", cliccate QUI, ma poi non ve ne lamentate con me!
Nel dubbio, inoltre, qui è iniziata la campagna elettorale, vissuta più come un mix tra una vittoria ai mondiali di calcio e una sfilata di Carnevale!



Noi in Europa ci siamo abituati ai cinesi. Del resto viviamo nel primo mondo, il consumismo fa parte della nostra cultura e a me sembra assolutamente plausibile che un cinese apra un negozio a Santhià, paese della provincia di Vercelli dove sono cresciuto, per guadagnare sani e sempre ghiotti Euro.
Ma quando ho scoperto che ci sono più di dieci negozi di cinesi a Tarrafal, nonché decine e decine sull'isola di Santiago, non ho potuto che stupirmi. A parte il nome, non vedo alcuna attinenza tra Santhia e Santiago. La mia domanda era dunque questa: cosa può spingere un cinese a lasciare le sue grandi città, o le sue valli coltivate a té, o le sue colline coronate di nuvole stile kung fu panda (oggi lo stereotipo si è impossessato di me!), per andare a vendere generi alimentari in un posto del quale sicuramente non ha mai sentito parlare?
Sul fenomeno della colonizzazione, o meglio, dell'acquisto di grosse fette di Africa da parte della Cina ci sarebbe da scrivere troppo, ma non sono qualificato per poter affrontare esaurientemente questo argomento.
Ma qui i cinesi contano eccome: mi hanno detto hanno "regalato" il palazzo del Governo a Capo Verde (o quello del Parlamento, non ricordo), hanno la concessione per la costruzione e lo sfruttamento del casinò che sorgerà all'interno del mega-resort che cambierà la faccia della capitale Praia, hanno decine di aziende di import-export e ancora più punti vendita. E incredibilmente, almeno per noi, qui il prodotto cinese è sinonimo di qualità!

La comunità cinese contribuisce al folklore locale. Si tratta di gruppi piuttosto chiusi, con chiare gerarchie tra chi comanda chi lavora. Escono in gruppo e quando vanno al ristorante ordinano grandissime quantità di cibo, ma sono famosi anche perché la notte si recano al mare e pescano a scopo alimentare alcune creature che i locali aborrono, come i granchi e i ricci di mare. Il gruppo che vedo spesso è di norma seguito da due grossi cani neri che le malelingue sostengono essere sempre differenti.
Parlano un crioulo alla canarino Titti, con le "elle" che sostituiscono le "erre", cosa che non sentivo dai tempi dei film di Charlie Chan.
Qualche tempo fa una persona mi ha esposto una teoria: costui sosteneva che tutti i negozi dei cinesi in realtà appartengono allo Stato e coloro che ci lavorano sono dei cittadini che devono scontare delle piccole condanne, per esempio per debiti o per evasione fiscale. Le loro pene detentive verrebbero quindi commutate in determinati periodi di lavoro all'estero.
Benché non creda molto a questa storia, che però spiegherebbe la perfetta identità dei prodotti, dei prezzi e la scarsa indole alla vendita del personale, il fatto che sia credibile è già di per sé indicativo. Mi verrebbe da pensare piuttosto, soprattutto dopo qualche chiacchiera con un cinese con cui sono più in confidenza, che si tratti di salariati. Ma comunque, non di imprenditori!
I cinesi qui non hanno nome. I capoverdiani chiamano ognuno di essi "Cina". Giusto per non fare confusione sulla provenienza.

Con grande dolore, devo constatare che tra le varie attività che normalmente attribuiamo ai cinesi e che in Italia troviamo in ogni angolo, qui ne manchino totalmente due: i ristoranti e i centri massaggi.
Per solidarietà, anche questo post non avrà un happy ending.



Ah, quanto mi piacerebbe che in Italia i politici sfilassero per strada!

lunedì 8 agosto 2016

Momenti di varia umanità.

Se la mia fidanzata avesse la stessa regolarità di questo blog, passerei dei lunghi periodi di angoscia. Ma così non è, quindi vivo questo impegno che ho preso con me stesso con la spensieratezza che metto in tutte le cose della vita. O quasi.
Volevo riprendere, dopo pochi giorni dal post precedente, l'argomento viaggi; ma la stagione estiva sta portando tanto lavoro, tanti impegni e poco tempo per scrivere. Quindi salto a piè pari i discorsi in sospeso che vertevano su: voli in ritardo non specificato, gruppi whatsapp dal nome blasfemo, amici che si propongono di venirti a prendere in aeroporto e ci vengono in tram, passeggiate notturne per città deserte con topi di notevole stazza che cadono dai cornicioni e poi fanno gli indifferenti, addetti alle pulizie dei bagni dell'Aeroporto di Lisbona che ti minacciano brandendo uno scopettone. Non parlerò di nulla di tutto ciò.
Ma a rileggere le righe appena scritte, posso solo concludere che la mia vita è veramente difficile.


Qui è estate, fa caldissimo, talvolta piove e ci sono vita e fermento. Vita e fermento che, per esempio, si esprimono nel ragno che ha dato alla luce una nidiata di figliolanza aracnoide da qualche parte nell'impianto dell'aria della macchina cosicché oggi, accendendo il condizionatore, dai bocchettoni sono state sparate nuvole di ragnetti su tutto il mio corpo. Cose belle che danno un senso alla giornata.
La scorsa settimana sono stato a cena dai miei amici Sabina, svizzera parlante italiano, e Adi, chiamato "Model" per ragioni a me ignote, capoverdiano. Hanno una bellissima casa con un quintal (cortile interno) molto accogliente, arredato con divani, amache e sdraie. Invitati, oltre a me, il mio amico Andreas, svizzero, e Solange e Raissa, due sorelle della Guinea Bissau.
Cena, ovviamente, fonduta.
Ora, io qualche volta la fonduta l'ho mangiata in Piemonte. E devo dire che mi è piaciuta molto. Però era inverno, eravamo in montagna e la fonduta ci stava bene.
Qui invece si era a Capo Verde, in estate, con un caldo che Amon Amarth levati; inoltre Andreas, oltre ad aver messo nella fonduta una generosissima dose di "vino di mele", mi ha spiegato che in quel vino i veri uomini ci imbevono il pane prima di pucciarlo nel formaggio. E io che mi vanto di essere un vero uomo, perlomeno a tavola (anzi, forse ormai solo a tavola!), ho raccolto la sfida.
In conclusione, ho sudato come Adinolfi durante una maratona arcobaleno, ho iniziato a parlare correntemente le lingue di tutti i presenti, ho mangiato per asciugare (asciugare il formaggio fuso???) mezzo chilo di arachidi crude e, una volta finalmente a letto, mi è sembrato di stare su un Tagadà gestito da un rom sotto acidi. L'unica certezza è che le mie coronarie non hanno gradito.

Sabato scorso abbiamo vissuto, con Francesco e il nostro resident musicista Dany, un'avventura che di per sé è un perfetto spaccato della nostra vita qui a Tarrafal.
Avendo in programma appunto per sabato un cocktail party, siamo andati in settimana a prenotare il ghiaccio che avremmo poi ritirato poche ore prima dell'inizio della serata. Tutto a posto, tutto combinato, tutto ok.
Se non fosse che alle 19:30 il ghiaccio non c'era perché, come il tizio col quale ci eravamo accordati ha premurosamente voluto informarci, era già stato venduto. Con il solito savoir faire che mi distingue, gli ho domandato perché non avesse mantenuto il suo impegno con noi, al ché, imperturbabile, mi risponde che saremmo dovuti passare la mattina e avremmo trovato il ghiaccio. Pieno di amore per lui, per tutta la sua ascendenza compresa quella defunta, e per la sua progenie che immaginavo già in preda a malattie non letali ma sicuramente disturbanti, gli ho fatto notare che il ghiaccio dalla mattina alla sera si sarebbe probabilmente sciolto in virtù dei 35 gradi dell'estate capoverdiana. Dopodiché la conversazione stava abbandonando la comunicazione verbale per spingersi verso quella gestuale, quindi siamo andati via accompagnati dalla schiera di Santi che avevamo invocato quali testimoni imparziali.
Dove trovare quindi 40 kg di ghiaccio, in Africa e alle 8 di un sabato sera?
Abbiamo iniziato un pellegrinaggio da uno, che ci mandava da un altro, che cercava di rimandarci dal primo per poi convogliarci verso un terzo, che non ne aveva ma aveva sentito dire che forse un cugino di un suo amico aveva una conoscente che vendeva il ghiaccio che al mercato mio padre comprò.
E siamo infine giunti a casa di Dona Joana che ci ha condotti, scortati da una torma di bimbi chioccianti, su un terrazzo, passando per rampe di scale buie e pericolanti. Giunti in cima, scartando un paio di adolescenti che si stava facendo la doccia vestiti attingendo l'acqua a secchiate da una cisterna, siamo arrivati in uno stanzino che mandava un appetitoso profumo di formaggio di fossa (solo dopo abbiamo scoperto che erano stipati lì secchi e secchi di cibo per maiali... sicuramente tutta roba di qualità!).
Joana svuota un freezer a pozzetto scagliando letteralmente fuori decine di pesci congelati del peso di almeno 5 chili e alla fine, sotto sotto, trova il ghiaccio, prodotto congelando bottiglie e bottiglioni di acqua. Nemmeno se avessimo trovato il Graal sarei stato così felice. Anche perché, probabilmente, sarebbe stata una ricerca più facile!

Dei partecipanti alla festa di sabato, nessuno è venuto a lamentarsi per eventuali dolori di pancia. Anzi, a ben pensarci, non abbiamo più visto nessuno.
Alla prossima.

sabato 16 luglio 2016

Diario di Viaggio. Parte 1

Benché avessi qualcosina da scrivere in questo blog, non ho potuto farlo prima di adesso in quanto mi sono trovato senza computer né internet; oggi come oggi combinazione più rara di un Luca Giurato che azzecca la combo congiuntivo+condizionale.
Sono rientrato ieri da una pausa di una ventina scarsa di giorni trascorsa tra l'Italia e la Francia; sono al lavoro, così mi risposo.

Dopo pochi giorni dal mio arrivo in Italia sono andato con mio fratello in Puglia, dove mia mamma ormai passa gran parte dell'anno. La Puglia del bellissimo Salento? No. La Puglia di Polignano a Mare? Neanche. Otranto, Altamura, Lecce? No, no e no. La Puglia dell'incredibile Gargano? Quasi ma no.
San Severo.
Che, in quanto città che mi ha visto venire alla luce, gode di tutto il mio affetto; ma dove, comunque, ogni giorno il mio scarso spirito di sopportazione è stato messo duramente alla prova. E dico questo non perché venga trattato male, tutt'altro! Sono veramente accudito come un principe, ma per chi come me è abituato alla totale indipendenza, l'amore dei parenti che ti dicono cosa mangiare, quando mangiarlo e quanto mangiarne talvolta è soffocante. Soffocante soprattutto se abbinato ad una temperatura che non ti permetteva di uscire di casa da mezzogiorno alle 19:00 e che la notte non ti dava tregua obbligandoti a dormire con le finestre aperte. Per la cronaca, dopo una notte di insonne meditazione ho potuto stabilire in maniera incontrovertibile che a San Severo non esiste un solo motorino con la marmitta originale; a breve pubblicherò uno studio su "Quattroruote".
Ho guardato con la mia famiglia la partita Germania-Italia vinta ai rigori dai crucchi. Saremo stati una ventina ma, democraticamente, ognuno criticava un diverso giocatore della nazionale. Non bastando i titolari in campo, qualcuno ha dovuto ripiegare e inveire contro giocatori della panchina e qualcuno addirittura con chi in nazionale non gioca più. Ad un certo punto sono certo di aver sentito distintamente "Collovati, ma allora sì strunz!"
Nel mentre consumavamo pizza pari alla produzione annuale di Pizza Hut Canada.



Con i miei zii si può parlare di tutto: politica, calcio, situazione economica mondiale, Isis, attualità. Sono fantastici e preparatissimi. Ma il mio zio preferito si è avventurato nello sdrucciolevole ed insidioso cammino di "Luigi, hai 40 anni, la donna giusta, i nipotini, il matrimonio"; mi è bastato mostrare le foto di qualche mia amica capoverdiana per uscire di scena con l'eleganza di Gene Kelly!
Nota non insignificante: Freccia Rossa Milano-Foggia puntuale, con aria condizionata funzionante, tutto perfetto. 

Dopo esser tornato dalla Puglia mi sono spostato a Parigi per qualche giorno. Nei paraggi della città, e più precisamente nei villaggi di pertinenza Disney, vivono i miei amici Alessia ed Enrico ed amo sempre andarli a trovare. A sto giro, per una congiunzione di eventi più rara del passaggio della cometa di Halley o di un rigore fischiato contro la Juve, i miei amici di infanzia Giorgio e Carlo sono venuti con me trasformando la trasferta in un vaso di Pandora (ma senza la Speranza). Giusto per capirci uno dei due, non dico quale, è stato a lungo soprannominato Satana. Ora è peggiorato. E tra i due è il migliore. Per intenderci, siamo riusciti ad accapigliarci con gli zingari in metropolitana!




Come sappiamo la Francia sta passando dei giorni delicati; noi abbiamo ben pensato di andarci nel week end della finale dei Campionati Europei di Calcio.
Sulla bontà della scelta abbiamo avuto modo di rifletterci da subito; alla frontiera tra Italia e Francia sono saliti sul TGV sei poliziotti per vagone controllando tutti i documenti. Inoltre la Farnesina ha avuto la delicatezza di mandarmi l'sms con i contatti in caso di emergenza, giusto così! per non allarmare nessuno. Devo dire che ho girato molto nella vita ed è la prima volta che mi arriva un sms del genere e, per giunta, IN FRANCIA.



Comunque la tensione è stata ripagata nel migliore dei modi con un bellissimo regalo, confezionato e consegnato dal Portogallo. Dopo una giornata passata in mezzo a francesi che facevano caroselli, compravano magliette, giravano con i volti pitturati, le bandiere sventolanti, le trombette da stadio... ebbene, vederli perdere per un gol nel secondo tempo supplementare è stato un epilogo che non potevo veramente immaginare migliore!
I caroselli con le macchine van fatti dopo la partita, mai prima!
Insomma, satolli di soddisfazioni sportive, di foie gras, di baguette, di lumache, di croissant, dopo esser stati raggirati dai menù fissi dei "Restaurant Pour Tourist Boccalon" (menù 10,90 € senza bevande + 1 birra 8 €), aver spintonato bambini per avere i posti migliori nelle giostre ad Eurodisney, aver camminato dozzinaia di chilometri, ci siamo avviati con la pace nel cuore verso i rispettivi aerei (in 3, 3 voli differenti!).
Ma di questo parlerò nel prossimo post.

Oggi sono rientrato al lavoro. Il mio dottore, bravissimo e molto responsabile, mi ha detto l'altro ieri che se alle prossime analisi del sangue non sarà convinto dal mio colesterolo, mi aggiungerà una pastiglietta a colazione. Considerando che ne prendo già due per la pressione, preferisco non rischiare, anche perché tra un po' dovrò magari ricorreree anche a quella blu.
Quindi categoricamente: dieta! Per fortuna qui il pesce è buonissimo!
Qualcuno sa se la birra contiene colesterolo?

giovedì 23 giugno 2016

La relatività del tempo.

Sabato scorso è giunto qui a Tarrafal il mio amico Massimo Monopoli, tecnico di calcio e futsal, per tenere un corso di formazione rivolto agli allenatori o aspiranti tali della zona. L'evento ha riscosso un discreto successo, tant'è che ci sono diversi tecnici che si sobbarcano mezz'ora di viaggio, andata e ritorno, due volte al giorno, per seguire le lezioni.
Oltre ad essere un tecnico ed un tattico molto preparato, Max è anche una persona estremamente simpatica e sta rallegrando con la sua frizzantezza le giornate mie e di Francesco. Non che possiamo definirci tristi, tra mare, sole, palme, cocktails, pesce fresco...


Quando lavoravo nei villaggi come schiavo, assunto con contratto Co.Co.Co-Gurugurugu-Qua-Qua secondo il decreto legge PippoFranco1998; quando lavoravo nei villaggi, dicevo, un mio ex responsabile, Fabio Gerbi detto "Lopez" (mai saputo perché!!!), disse queste parole che ancora ricordo: "Il ritardo di un'ora lo posso tollerare, perché succede a tutti di rimanere addormentati, ma capita una volta sola. Il ritardo di 5 minuti sistematico non lo tollero, perché è mancanza di rispetto e significa fregarsene!".
Chissà cosa direbbe a proposito del ritardo sistematico di un'ora...
Mi sono già espresso in maniera veloce sulla scarsa puntualità del popolo crioulo, ma devo dire che ancora dopo un anno mi trovo a sorprendermi dell'assoluta costanza, impegno e abnegazione che profondono nell'arrivare in ritardo. Ne ho parlato più volte col mio amico Andreas, ma lui non può fare testo. Lui è svizzero-tedesco quindi, nel mio immaginario, una figura mitologica che incrocia un uomo con un orologio nucleare e con un reattore del CERN. Lui mi ha insegnato un modo di dire della sua terra: "Puntuale è già ritardo" (cioè se hai una riunione alle 8 e arrivi alle 8, la riunione inizia in ritardo). Nessuno si stupisce se questa frase è intraducibile nella lingua di Capo Verde.
Farò degli esempi random per capire di cosa si sta parlando.

A gennaio vengo contattato da un deputato locale che, per conto della segreteria del primo ministro riserva un aperitivo per una trentina di persone in occasione della visita del capo del governo portoghese (credevo che fosse Mourinho, ma mi sbagliavo).
Praticamente sarebbero dovuti passare in Municipio per poi arrivare qui verso le 13, bere un veloce cocktail, mangiare qualcosa dal buffet di stuzzichini e andare via rapidamente per pranzare in un'altra località.
Alle 9:30 iniziamo a preparare il buffet. Alle 10:30 arriva la polizia e prende posizione in luoghi strategici all'esterno del ristorante. Alle 11:30 arrivano due poliziotti in borghese che fanno un sopralluogo all'interno, controllano i locali, i bagni e dicono che è tutto a posto. A mezzogiorno entra un poliziotto e dice che i ministri sono arrivati a Tarrafal. Tre quarti d'ora dopo, entra a dire di tenerci pronti che stanno arrivando (si sentono applausi, clacson, rumori di insensato entusiasmo in lontananza). Alle 14 ci accorgiamo che i poliziotti se ne sono andati. Dalle 14:30 alle 15:00 il deputato si nega al telefono.
A giugno non si sono ancora visti né loro né, tanto meno, i soldi che ci devono.

Secondo esempio: al ristorante stiamo cercando di selezionare una band per fare una ulteriore serata di musica dal vivo ed abbiamo identificato in un gruppo di giovani, la cui musica è dinamica e allegra, una possibile scelta.
Io e Francesco parliamo col loro cantante e combiniamo un appuntamento per una data a SUA discrezione; il fenomeno non si presenta. Lo rivediamo, gli spieghiamo quanto sia importante per noi rispettare gli impegni ("se facciamo pubblicitàm i clienti si aspettano la musica e voi non arrivate, facciamo brutta figura"). Lui si scusa, ci da un altro appuntamento al quale, per coerenza, non si presenta. Mi telefona dopo due giorni e, senza parlare minimamente del bidone tirato, mi chiede di patrocinare una sua attività. Dice che sarebbe passato il giorno dopo ma, ligio ai suoi principi, non si fa vivo. Si presenta però al ristorante direttamente sabato sera alle 21, ovviamente il momento migliore per ottenere l'attenzione di due ristoratori. Lo rimandiamo dicendogli di farsi vivo il lunedì. Chi l'ha visto? Proviamo allora a trattare con l'altro cantante che esordisce dicendo: "non dovete parlare con l'altro, è inaffidabile", continua dandoci appuntamento e conclude non presentandosi.
Decidiamo di delegare completamente a Dany, il nostro consulente artistico, la gestione della cosa. Lui parla chiaramente con i ragazzi (e senza barriere linguistiche) e ieri finalmente avevamo in programma per la prima volta una serata di musica dal vivo con questi ragazzi a partire dalle 20.
Il primo si presenta alle 20:20, il secondo alle 20:35, il terzo alle 20:45 e noi, mettendo tutti d'accordo, li mandiamo via alle 20:50.

Non vado avanti, per non innervosirmi. Va da se che non UNA delle lezioni di Massimo è potuta iniziare puntuale. Anche perché la "cultura della cortesia" di questo popolo impedisce loro di dire di no. Ieri per esempio, avevano già deciso di saltare la sessione del pomeriggio per guardare la partita del Portogallo agli Europei di calcio, ma senza dirglielo! Semplicemente, avrebbero lasciato Max sul campo ad aspettarli sotto il sole rovente.

A proposito di gestione morbida del tempo. Mi ritrovo in mano un biglietto della Tap, uno de Easyjet e uno di Trenitalia. Una combinazione che sta al ritardo come la scala reale sta al poker.
Imbattibile.

domenica 22 maggio 2016

La fine della civiltà.

La domenica può essere un'occasione di svago qui a Tarrafal: portare la famiglia al mare, pranzare insieme magari grigliando, bersi una birra con gli amici.
Purtroppo non tutti possono economicamente permettersi un programma del genere e i meno abbienti ripiegano su soluzioni alternative. Gli abitanti della "casa occupata" sita di fronte alla mia, per esempio, hanno ormai un format rodato: qualcuno mette musica a palla dalla mattina presto (Adele e altri cantanti strappamutande spopolano), e poi tutti si trasferiscono nello spiazzo antistante dove bevono grogo, giocano a pallone, bevono grogo, mangiano, fanno giocare i bambini, bevono grogo, urlano e litigano e per finire bevono grogo fino a notte.
Questo per dire che a casa mia di domenica non si riposa un cazzo.


Nell'anno e mezzo che ho trascorso qui, e in particolare da quando ho aperto il ristorante, ho avuto una posizione privilegiata per osservare un altro aspetto culturale dei criouli e paragonarlo a ciò a cui ero abituato. In pratica: che cosa bevono i capoverdiani?
Ammetto che la mia prima preoccupazione circa l'argomento bevande riguardava piuttosto i turisti nord-europei; veder mangiare un bel filetto di tonno grigliato o una bisteccona bevendoci su del cappuccino avrebbe scosso dalle fondamenta tutto ciò in cui credo. Ma ho notato che in realtà questi ex-barbari si sono ormai civilizzati, anzi, in un ristorante italiano pretendono il bicchiere di vino buono così come il caffè espresso o la grappa.
I capoverdiani invece no.
Innanzitutto loro molto spesso cominciano il pasto senza ordinare bevande; iniziano a mangiare e poi solo dopo qualche boccone chiedono da bere. E, mioddioddioddio, cosa chiedono!
Devo sottolineare che qui come in altri luoghi africani in cui sono stato, vanno per la maggiore bevande dolcissime che qui chiamano "sumo", cioè succo! Solo che specificano tra sumo con gas (Coca Cola, Fanta, Sprite e la famigerata Fanta alla fragola, più altre zozzierie all'uva o al mirtillo) e sumo senza gas, i succhi di frutta in bottiglietta come i nostri.
E qui si compie l'abominio, l'aberrazione, la discesa negli inferi del gusto. Se dovessi dire quale è la bevanda più bevuta come accompagnamento ai pasti, direi che è il succo di frutta alla pera. Un accostamento che in confronto Oscar Giannino sembra Enzo Miccio!
Cioè, il succo di pera!!! Per me non potrebbe accompagnare nemmeno un piatto di topo fritto! Ma de gustibus non est di sputare!
Qui vendono anche un'altra bevanda analcolica chiamata "malta", aromatizzata col malto e praticamente priva di calorie; anche questa si vende bene, probabilmente per il suo sapore dolciastro. A me non piace, vista l'assenza di alcol. E di calorie.
Di birre ce ne sono praticamente due: una nazionale, che si chiama Strela, piuttosto classica e anonima, ma facile da bere e che esiste in altre due versioni, la Criolua e la Preta. L'altra è la portoghese Superbock, che, appena appena si scalda un po', diventa a mio avviso imbevibile. Ovviamente tutti i turisti stranieri bevono la prima, mentre tutti i ragazzi locali la seconda, secondo le strane alchimie che ogni cultura produce.
Acque in bottiglia di tre marche, quella gasata bevuta solo da stranieri.
I vini: qui esiste una produzione di vino nell'isola di Fogo, della quale ho già scritto in precedenza. Il bianco, servito ben fresco, è piacevole da bere e sa di vino bianco; in pratica, assolve pienamente al suo compito. Il rosso invece è un po' più dimenticabile, ma ricordandomi dove ci troviamo direi che è comunque un prodotto più che sufficiente.

La nostra squadra, la Varandinha, ha vinto il contro ricorso e abbiamo avuto accesso alle fasi a girone delle finali nazionali. Io e Francesco siamo apparsi anche in televisione e, contro ogni ragionevole previsione, non nella sezione cronaca nera,
Avanti così!


P.S. Oggi ho visto una scimmia mangiare un chupa-chupa. Così, per rendervi partecipi.

giovedì 12 maggio 2016

La domenica sporchina.

Le giornate qui a Tarrafal si susseguono a ritmo lento e sonnacchioso. Ma l'estate incalza, il clima è ideale, i tramonti tolgono il fiato e le notti stellate... Mamma mia cosa sono le notti stellate qui. Senza inquinamento luminoso, senza condomini, senza smog, ogni notte si vedono tutte le stelle... io non le ho contate, ma credo siano davvero tutte!


Il nostro ristorante è, da qualche mese, lo sponsor di una squadra di Tarrafal,  la G. D. Varandinha, che partecipa al campionato regionale di Santiago Nort. Praticamente il presidente e fondatore, un ragazzo di nome David, simpatico e competente (è avvocato dello sport in Portogallo), ci ha chiesto se eravamo disposti a provvedere al pasto dei giocatori prima degli incontri.
Vista la mia verde età, sono ancora freschi i ricordi della mia promettente carriera calcistica. Per chi non lo sapesse, tra le risaie ero considerato (da me stesso) l'erede di Branco. Ovviamente questo BRANCO, non questo BRANCO.
Insomma, l'idea non ci dispiaceva, ma nemmeno ci esaltava. Alla fine, comunque, abbiamo accettato; il risultato è stato che io e Francesco siamo diventati i due più accaniti tifosi di una squadra davvero molto seguita ed amata.
Come dicevo, la Varandinha partecipa al campionato regionale; le vincenti di tutti i campionati regionali si incontreranno in una fase a gironi che porterà alla finale e a proclamare i campioni nazionali.
Quando abbiamo iniziato la nostra partnership, Varandinha era seconda dietro a una squadra che si chiama "Scorpioni Rossi"; dopo una serie di rocambolesche partite, ci trovavamo a due giornate dalla fine avanti di 4 punti sugli Scorpioni ai quali pero', avendo vinto entrambi gli scontri diretti, sarebbe stato sufficiente arrivare a pari punti per aggiudicarsi il titolo.
Significava che ci serviva almeno una vittoria su due partite.
La prima, in trasferta a Calheta, l'abbiamo buttata al vento: in vantaggio di due gol, ci siamo fatti raggiungere ed è finita in parità. Gli Scorpions hanno vinto a tavolino perché l'altra squadra, benché fosse in lizza per un piazzamento play off, non si è presentata.
Affrontavamo quindi l'ultima partita in casa, con le tribune esaurite e con il tifo di tutta Tarrafal.
Io e Francesco siamo arrivati un po' in ritardo, per via del lavoro, e troviamo questa situazione: noi con un espulso dopo 10 minuti e con l'obbligo di vincere perché anche questa domenica gli avversari degli Scorpions non si sono presentati. Strano e a dir poco sospetto.
La partita è molto emozionante; i nostri giocatori sono una legione di nerboruti marcantoni in cui il più piccolo potrebbe fare il buttafuori; inoltre anche la tecnica individuale non è affatto male. Gli avversari formano una squadra di tutto rispetto, che se la gioca fino alla fine senza perder tempo e senza accontentarsi del pareggio.
Segniamo in maniera fortunosa a 10 minuti dalla fine e, dopo una traversa degli avversari e qualche altra sofferenza, l'arbitro fischia la fine e in campo inizia la festa!
Festa che prosegue per tutta la notte con tutti i giocatori su un camion che girano per Tarrafal inneggiando a Varandinha, a VistaMare, a Francesco e a me. E quando ho sentito cantare "Luigi, Luigi, Luigi..." ammetto di essermi commosso, probabilmente perché nella vita non ho mai vinto nemmeno alla tombola con i parenti.

Ma lo scorpione, si sa, ha il veleno nella coda, e a seguito di un ricorso per una partita giocata mesi fa, sono stati attribuiti ai nostri avversari 3 punti d'ufficio; punti che li portano davanti a noi e che li rendono momentaneamente campioni.
David, che di cose di sport se ne intende, è certo della erroneità della decisione e si sta battendo per riportare le cose verso il giusto epilogo. Staremo a vedere. Mannaggia a loro.

Sto scrivendo con un computer nuovo, che purtroppo ha qualche problema: per esempio, è più inchiodato di Gasparri davanti alle tabelline. Inoltre è francese; ora ai francesi non bastava mangiare le rane, parlare con la erre moscia e ignorare l'esistenza del bidet. No!
Non paghi, dovevano anche avere le tastiere con le lettere messe ad minchiam!
Quindi la A e la Q invertite, la M che non sta dove deve, la O accentata che non esiste, i numeri che sono tutti sballati.

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venerdì 29 aprile 2016

Un po' di diario.

Con grandissimo dispiacere, ci siamo accorti che il nostro gatto Moko (che in crioulo significa "ubriaco"), non ha più fatto ritorno a casa da una delle sue piccole escursioni fuori porta. Le ipotesi sono due: può esser stato sbranato da uno dei tanti cani randagi, che più di una volta abbiamo visto inseguire i gatti e, in un caso, addirittura un capretto.
Oppure, più probabile, può esser stato rubato da qualcuno che se l'è portato a casa; non è infrequente infatti che, sebbene le strade siano piene di cuccioli abbandonati, queste teste di cazzo decidano di prendere animali già cresciuti e curati da altri.
E scusatemi il francese.
Nel dubbio, oggi ho portato a casa l'ennesimo gattino, che ha però avuto un impatto poco entusiasta con l'ambiente e che continua a frignare. Per continuità io lo chiamerei Tafkap, ma voglio sentire cosa ne pensa Francesco. Questo 2016 si sta portando via artisti a profusione, ma non a sufficienza da dare il nome a tutti gli animali che stiamo cambiando!


Da qualche giorno c'è qui anche il mio amico Enrico, socio mio e di Francesco nel Restaurante VistaMare. Era già stato a trovarmi, ma in un periodo un po' particolare dal punto di vista climatico (in pieno uragano!!!). A questo giro, nelle pause dal lavoro, ha avuto quindi modo di apprezzare e di capire quello che Tarrafal offre, a livello di natura, di vita, di società.
Un classico che rinfranca il cuore è la visita ai bambini dell'asilo per portar loro qualche caramella. Non stiamo parlando di bambini poveri, almeno per come può essere inteso qui il termine. Ma sono bambini bellissimi, gioiosi e pieni di moccio, che ormai mi accolgono chiamandomi per nome e sfornando sorrisi che, mannaggia, bisogna viverlo per capirlo.
Mentre stavamo distribuendo le caramelle, si svolge un piccolo dramma: una bambina, per una dinamica che solo la fisica dei bambini può spiegare, è rimasta incastrata con la testa tra la seduta e lo schienale della sedia. In pratica, la seggiolina le fungeva da scomoda collana.
La bambina piangeva, la maestra farfugliava, gli altri bambini rumoreggiavano, e quindi io ed Enrico abbiamo fatto la cosa che ci sembrava più logica: abbiamo cercato di liberare la bambina parlandole, nel frattempo, per tranquillizzarla.
La maestra allora, con un colpo di scena degno di Tarantino, ha ritenuto saggio portare tutti i marmocchi in un'altra stanza, lasciando noi due da soli con la bambina; le sue ultime parole prima di chiudere la porta sono state: "vado a cercare qualcuno che possa segare il ferro della sedia!".
Siamo rimasti stupefatti: per noi è incredibile che venga reputato normale lasciare una bambina di 4 anni da sola con due estranei... ci immaginavamo già irruzione di agenti armati di spray al peperoncino! Ma, una volta che abbiamo capito che non saremmo stati arrestati, abbiamo semplicemente deciso di smontare la sedia.
Come dice l'aforismo Facebocchiano: "Quando una nave sta affondando, si mettono in salvo prima le donne e bambini, in modo che gli uomini possano, nella ritrovata calma, risolvere il problema". Tempo due minuti, la bimba era libera e noi, eroi per qualche minuto, siamo tornati soddisfatti alle nostre occupazioni.

Qualche giorno fa un tragico evento ha scosso Capo Verde e, più in particolare, l'isola di Santiago dove vivo. Tre civili sono stati trovati morti nei pressi di una installazione militare; tutti i soldati risultavano scomparsi e, solo in un secondo momento, sono stati ritrovati privi di vita, per un totale di undici vittime.
All'appello mancava un militare, che risultava da subito essere il maggiore indiziato dell'eccidio. Il giorno successivo è stato catturato e darà quindi la sua versione al tribunale, probabilmente militare, che lo ascolterà.
In quei due giorni si sono succedute decine di voci poi smentite dal portavoce del Ministro degli Interni: attentato terroristico, regolamento di conti da parte di narcotrafficanti ai quali sarebbe stato sequestrato un carico importante di droga, motivi passionali. Insomma, tantissime versioni prive di veridicità ma figlie del chiacchiericcio di questo popolo così pettegolo.
Di sicuro non è una maniera felice, per il nuovo Governo, di iniziare quella che molti sperano sia una nuova era per Capo Verde.


La cagna dei miei vicini, o meglio, la cagna che bazzicava dalle parti di casa mia, ha sfornato 6 cuccioli e poi è sparita. Due cuccioli, i più forti, sono stati da subito "rapiti", verso, si spera, una buona vita.
Io e Francesco, facendo onore al Santo dal quale il mio amico prende il nome, ci stiamo facendo carico di crescere gli altri. Che sono scesi ormai al numero di tre, perché uno è stato purtroppo investito da una macchina.
Sono brutti, malaticci e gracili, ma pieni di spirito combattivo. Vedremo chi avrà ragione!

Quello sopra è il tramonto di ieri. Tarrafal sa essere magnifica.

sabato 16 aprile 2016

L'oppio dei populisti.

Le temperature in quel di Tarrafal stanno costantemente aumentando, i tramonti sono fantastici, il mare è sempre più caldo. E di conseguenza i vestiti della gioventù locale si fanno sempre più striminziti, mostrando muscoli che, ne sono certo, non fanno parte del mio patrimonio biologico. Insomma... ci prepariamo all'estate! Nel dubbio, le zanzare si sono già attrezzate.

In questo posto vorrei parlare un po' di religione. Mi riesce difficile, perché è un po' come se Galeazzi disquisisse di dieta o Sasha Grey dissertasse di castità. Ma l'aspetto religioso è fondamentale per la comprensione di qualsiasi popolo; cercherò quindi di affrontare l'argomento in maniera rispettosa e possibilmente obiettiva, per non turbare la sensibilità di nessuno.
Capo Verde è a schiacciante maggioranza cattolica. E quando dico schiacciante, vuol dire veramente la quasi totalità. Sorprendendo un po' tutti, Papa Francesco ha nominato Cardinale il capoverdiano Arlindo Gomes Furtado, che è diventato così il primo porporato dell'arcipelago.
Senza entrare nel merito della santità del religioso né in quella dell'investitura, le conseguenze sono state all'altezza della migliore campagna di marketing mai promossa! Entusiasmo incontenibile della popolazione, delle autorità, un cartellone gigante in piena capitale, nell'Achada Sant'Antonio, esposto per mesi a celebrare il nuovo Cardinale.
Del resto i capoverdiani hanno ereditato molto il gusto per il pomposo e del celebrativo dei portoghesi.
Qualche mese fa, non ricordo se a dicembre o a gennaio, ha ricevuto l'investitura il nuovo parroco di Tarrafal. Considerando le dimensioni del paese, la cerimonia nelle mie aspettative sarebbe dovuta essere all'incirca paragonabile a quella per un nuovo parroco di una cittadina come Santhià: sobria, rapida, essenziale.
Macché: migliaia e migliaia di persone a seguire la messa, che l'Angelus gli spiccia casa, decorazioni appese per le strade, poliziotti a convogliare il traffico, cibo gratis per tutti. Insomma, una grandissima festa di tutta la comunità. Pare che il nuovo parroco sia giovane, capace, simpatico e pieno di energia; unico neo: non ha presenziato al mio finto matrimonio di novembre.


La Santa Messa, del resto, qui è molto seguita; sabato sera e domenica mattina migliaia di fedeli affollano la "chiesa temporanea", vestiti con gli abiti migliori, tutti lindi e pinti.
Dico "temporanea", perché viene attualmente celebrata in uno spiazzo adibito allo scopo, poiché la Chiesa di Sant'Amaro. il patrono di Tarrafal, è al momento in ristrutturazione. Qui mancheranno i soldi per fare tante cose, ma per le costruzioni religiose si trovano: la strada per Santiago, per esempio, mostra, tra tante fatiscenti case grigie, spoglie e non terminate, delle bellissime, pulite e splendenti chiesette, come gioielli incastonati nel fango.
La religione cattolica è molto sentita anche nel quotidiano; nell'abbigliamento (croci, rosari, santini), nella conversazione (frasi come "se Dio vorrà", "se Dio aiuterà"), nei nomi attribuiti alle macchine e alle barche ("Gesù è mio fratello", "il buon pastore", "nelle mani di Dio"... quest'ultimo l'ho sempre trovato inquietante come nome di un'imbarcazione!).
Ma anche una popolazione così devota deve fare i conti con i tanti contrasti del cattolicesimo. E spiegarsi, qui più che altrove, come conciliare la propria fede con i tanti figli senza padre, nati molto al di fuori del matrimonio, che sono la colonna vertebrale della gioventù di Capo Verde. Così, per fare un esempio.

Immancabili, instancabili, inarrestabili, sono qui ben rappresentati i Testimoni di Geova. ne ho conosciuti anche di Italiani, giunti a Capo Verde per fare probabilmente uno scambio di esperienze, e li ho anche trovati molto simpatici. Quelli che invece mi hanno bussato a casa svegliandomi, nel mio primo giorno di riposo, quelli no, quelli non mi sono stati simpatici affatto. E gliel'ho spiegato.

Molto presenti anche gli adepti della Chiesa dei Santi dell'Ultimo Giorno, meglio conosciuti come Mormoni. "Ultimo giorno" che va interpretato un po' alla Giorgio Mastrota perché, alla faccia delle scadenze, questi continuano ad arrivare. Camicia bianca, pantaloni neri, badge, espressione di chi sta prendendo la vita sul serio. Ma terribilmente fuori posto nel camminare con le scarpe lucide per le strade sterrate di Tarrafal. Anche se, su questa mia ultima frase, si potrebbero scrivere enciclopedie di filologia evangelica.

Concludo con i musulmani. Qui sono veramente pochissimi, quasi sempre stranieri immigrati per motivi di lavoro. E per motivi di lavoro li ho conosciuti e frequentati: per esempio Moussa, il fabbro che da 3 mesi deve farmi una saldatura, o Alassam, il parrucchiere che mi ha fatto un buco in testa.
E io, che ecumenicamente considero tutte le religioni allo stesso livello, ho espresso loro il mio punto di vista senza alcun imbarazzo.
Perché sì, è vero: so bestemmiare anche in Arabo.

venerdì 1 aprile 2016

Musa, quell'uom di multiforme ingegno Dimmi, che molto errò.

Concludevo l'ultimo post mettendomi in mano a TAP per il trasporto di questo pover'uomo da Praia a Milano Malpensa.
Sulla carta il viaggio non è particolarmente lungo né scomodo, così all'andata come al ritorno. A meno che le cose non vadano storte.

In teoria si parte da Praia alle 00:55 per giungere a Lisbona alle 6:00 (ore locali), con una coincidenza rapida alle 7:20 che giunge a Milano dopo 2 ore e 45 minuti.
L'ultima volta che ho tentato di combinare questi aerei, il primo ha portato ritardo, ho perso il secondo e, causa un overbooking del Lisbona-Milano successivo, siamo dovuti rientrare via Bruxelles, mentre la mia valigia piena di manghi maturi girava impavidamente l'Europa per a settimana.
Questa volta mi sono fatto furbo: ho deciso di prenotare direttamente il volo delle 13:25 da Lisbona: qualche ora in più di attesa, ma la certezza di arrivare. Bravo genio.
Premetto che il giorno prima di partire sono andato a lavorare, ho fatto rapidamente la valigia e alle 17:30 sono partito da Tarrafal per Praia. Cena e subito in aeroporto.
Iniziavo il viaggio già stanco, quindi, e la stanchezza veniva in seguito aggravata dalla mancanza di sonno sul volo dovuta agli spazi angusti ed alla corporatura strabordante della signora al mio fianco.
Arrivando a Lisbona, quindi, abbandonavo la balzana idea di una colazione abbondante a base di birra e baccalà per le vie della città, e mi sdraiavo a pennicare su una chaise longue come il più barbone tra gli studenti Erasmus.

L'imbarco avveniva in ritardo di circa un'ora e, una volta saliti, il comandante comunicava in portoghese ed in inglese, ad una clientela completamente italiana, che l'aereo sarebbe partito con 45 minuti di ritardo. Il gruppo di baldi veneti dietro di me ha sfruttato l'occasione per insegnare decine di fantasiose bestemmie a tutti i passeggeri. Bestemmie leggere, se paragonate a quelle che hanno iniziato a grandinare allo scadere dei 45 minuti ed in seguito ad un secondo annuncio identico al primo.
Alle 17 circa ci hanno quindi fatti sbarcare comunicandoci che, causa sciopero dei controllori di volo francesi, il cui spazio aereo avremmo dovuto attraversare, la partenza veniva rinviata al giorno successivo e saremmo stati spostati in hotel fino a nuove disposizioni.
Quello che mi ha colpito positivamente è che, a parte un paio di casi isolati, la situazione è stata vissuta senza nervosismo anzi, capeggiati dal gruppo veneto che vedeva il bicchiere mezzo pieno (di grappa), il tutto si è trasformato in una gita delle superiori!
Poiché il bagaglio è rimasto imbarcato, sono dovuto uscire a comprarmi un paio di mutande portoghesi; nei 15 minuti di passeggiata, Giove Pluvio si è scatenato, probabilmente per vendicare i colleghi vilipesi nel pomeriggio. Era un Luigi zuppo, stanco ed intollerante a tutto, quindi, quello che infine è salito in camera ed ha svuotato il minibar!
Hotel confortevole, cena sufficiente, a letto alle 21 e sveglia alle 6.
La colazione almeno mi ha regalato il sempre interessante spettacolo offerto da un gruppo di orientali alle prese con il buffet: il signore che mangiava pesche sciroppate e fagioli ha messo tutti a tacere.

Il giorno seguente dunque partiamo alle 10 con volo speciale e arriviamo alle 14 italiane. Bilancio: un viaggio lunghissimo, stancante e che si è mangiato un giorno della mia già striminzita vacanza.
Sapremo fare di peggio? Il volo di rientro, tra pochi giorni, ci darà tutte le risposte...


Poiché la vita è un viaggio, mi sono spostato con mio fratello in Puglia per passare la Pasqua. La notizia, la VERA notizia, è che ho preso ben 8 treni di Trenitalia e tutti e 8, TUTTI E 8, sono partiti puntuali al minuto.
Se sono anche arrivati puntuali, beh, quella è un'altra storia.