venerdì 4 dicembre 2015

Santhià - Santiago

Il mio ritorno a Capo Verde è stato a accolto dalla fauna locale con manifestazioni di entusiasmo che nemmeno all'apertura dell'arca di Noé dopo il diluvio. Tra cori gospel di vacche bitonali all'alba, galli organizzati in una no-stop di canto che Telethon gli spiccia casa e grilli baritoni che bivaccano la notte sul mio balcone, di questi tempi sto dormendo pochissimo e ho la stessa lucidità di Andrea Dipré.
Che poi a me i frinire dei grilli sa tanto di bestemmie lasciate a metà.


La stagione delle piogge in quest'anno atipico pare conclusa. L'erba inizia a seccare e il caldo a calare, benché, con le temperature che oscillano tra i 28 gradi del giorno e i 25 della notte, non me la sento proprio di lamentarmi; in particolare alla luce delle foto che i miei amici stanno postando su Facebook, foto che mostrano distese di nebbia tipo mastino dei Baskerville! Diciamo che io ho risolto il problema del freddo coprendomi semplicemente col lenzuolo.
Il Comune di Tarrafal sta quindi provvedendo a ripristinare la situazione di normalità, in particolare tagliando l'erba ed eliminando quella che è cresciuta tra i cubetti che formano il lastricato stradale. E perché ricorrere al veleno o ai prodotti chimici quando qui le braccia non mancano? Infatti lo spettacolo tipico di questi giorni è rappresentato da brigate di signore vocianti che, sedute, chine o accoccolate, estirpano l'erba dalla strada. Quello che mi colpisce è la strage che stanno facendo di aloe, che cresce spontanea ovunque; sarà probabilmente perché in Italia un litro di succo di aloe (schifosissimo peraltro) lo pagavo 19 euro e qui invece costerebbe il tempo di prepararlo.


Domenica scorsa sono stato invitato al compleanno di Denise, che compiva 4 anni. Denise è una bellissima bambina, figlia di una coppia di miei vicini e amici.
Prima di ripartire per Capo Verde, avevo partecipato alle feste di due bambini italiani, figli di carissimi amici, e devo dire che non c'è tutta questa differenza tra le varie situazioni. Invitati, regali, cibo, torta, canzoncina, sbadigli.
Sicuramente quella capoverdiana è stata organizzata con un budget più basso e i regali sono stati molti meno, ma è stata una bella festa. Anziché tramezzini, panini e altre schifezze, c'era quello che loro chiamano "sopa", in pratica pasta cotta nel minestrone, nonché l'immancabile cachupa. La nota stonata, se vogliamo dire, è stato l'intrattenimento audio video: un DVD dove un cantante locale vestito da tamarro, ma tamarro, talmente tamarro che Lapo Elkann in confronto sembra Sean Connery, ci deliziava con canzoni tutte uguali (ogni tanto gli incvitati prorompevano in "questa è bellissima"... mah!). Si esibivano con lui del video dei troioni statuari formato Carnevale di Rio feat Dan Bilzerian feat Brazzers... Praticamente la mia partecipazione attiva alla festa è terminata al tocco del tasto Play.
L'unica domanda che è rimasta in sospeso è: ma sarà uno spettacolo adatto ad una festa di una quattrenne? Domanda comunque meno importante di: ma queste del video, dove abitano?


Zacapa sta bene, è coccolosissima ma, benché sia ancora giovane, ci sono già dei gatti maschi e adulti che le girano intorno. Inizio a capire come si sente il padre di un'adolescente di oggi.
Qui, nel peggiore dei casi, insegnerò ai capo verdiani la cucina tipica vicentina.


venerdì 20 novembre 2015

Cosa mettere in valigia?

La mia partenza per Capo Verde si approssima; inizia quindi un periodo di pietosi addii e sofferti arrivederci! In particolare trovo estremamente doloroso separarmi da chi mi è stato vicino con affetto, d'estate e d'inverno, senza mai chiedermi niente in cambio: ciao divano, mi mancherai!

La compagnia di bandiera Capoverdiana si chiama TACV e, con le dovute proporzioni, ricorda l'Alitalia. Per esempio mi hanno spiegato che con una flotta di 4 aerei, 1 di proprietà e 3 in leasing, la sede di TACV conti qualcosa come mille dipendenti... escluso il personale viaggiante, che prendono in outsourcing! Mille dipendenti che rappresentano un ottimo parcheggio per nipoti, cugini, amici e conoscenti dei vari potentini. Lo scorso bilancio passivo è stato ripianato con i soldi dell'INPS (capoverdiano). Insomma, per essere africani, sono molto, molto italiani.
Questa banda di fenomeni, ai quali ho affidato il trasporto della mia umile carcassa da Lisbona a Praia, mi ha mandato una mail di due righe due per dire: "Il suo volo è stato posticipato al giorno seguente alla stessa ora. Si faccia trovare puntuale all'aeroporto". Senza chiedere scusa, senza addurre motivi. Tutto lì.
E io dovrò ancora farmi trovare puntuale. Ovviamente è da una settimana che, con l'aiuto del mio amico Giuliano, provo a contattarli in ogni modo, ma nulla! Quale modo migliore avrei potuto trovare per rituffarmi nel clima capoverdiano?
Per inciso, Giuliano è il mio amico agente di viaggi che è ormai un esperto nell'organizzare collegamenti tra l'Italia e Santiago... Visto che mi è stato chiesto, se qualcuno fosse interessato a contattarlo, può farlo anche QUI

Come ogni volta, prima di partire, ho fatto qualche esame medico. Ho la fortuna tutt'altro che trascurabile di avere un dottore che sa il fatto suo e tra le altre cose mi ha fatto fare gli esami del sangue. Nel nuovissimo e ultramoderno ospedale di Biella, ho quindi dovuto far DUE ORE di coda dopodiché ho pagato 68 € di ticket. SESSANTOTTO EURO.
E come se non bastasse, ho dovuto anche metterci il sangue; non hanno nemmeno avuto il buon gusto di mettercelo loro!
Il prelievo è stato fatto in una specie di sala comune con diversi lettini, infermiere che parlavano tra di loro dei rispettivi problemi personali, gente che entrava e usciva, chiedeva informazioni o curiosava, bambini che piangevano, un cingalese che parlava solo la sua lingua e che nessuno riusciva ad aiutare. Ci mancavano giusto due galline e qualche maiale grufolante e poi sarebbe stato un perfetto mercato medioevale.
Tra queste analisi, un altro esame e qualche medicina che mi porterò appresso, mi sono usciti di tasca più di 150 €. Meno male che abbiamo la sanità pubblica, altrimenti di sangue chissà quanto avrei dovuto lasciargliene!


Cos'altro mettere in valigia? Ben poca roba poiché i miei bagagli sono già strapieni. Qualche piccolo regalo per gli amici, una buona scorta di repellente per gli insetti, qualche prodotto per il mio gatto Zacapa e per il cucciolo di cane che andrò a prendere. Da profanissimo, poiché non ho mai avuto animali in Italia, mi accorgo dai prezzi che anche quello legato a cani e gatti dev'essere un business di tutto rispetto!
Non porterò praticamente nulla da mangiare: mi accontenterò di pesce grigliato e banane, sia mai che perdo qualche chiletto.
Ma porterò una sola cosa: una confezione di acciughe, delle quali sono goloso. Non le ho ancora trovate a Praia, anche se sono certo che si possono trovare: esistono almeno due pizzerie che servono la pizza Napoli.

Basta, ho da fare. Devo organizzarmi per Lisbona.
I siti di riferimento sono sempre i soliti: booking.com e gnoccatravels.com.
E buon viaggio a me!

Ps1  ricordatevi anche viaggiaresicuri.it... non si sa mai
Ps2 per mia mamma: scherzo!

martedì 17 novembre 2015

Off Topic.

A 4 giorni dai tragici e dolorosi avvenimenti di Parigi, mi sento di scrivere qualche riflessione ispiratami  soprattutto dai social, che in queste occasioni diventano espressione dell’opinione pubblica. E quindi, come un’antica piazza del mercato, ci si trova di tutto: dall’arrabbiato al polemico, dal complottista al sobillatore. Si leggono pochi moderati, ma non perché non ne esistano, anzi! Probabilmente perché essi si astengono dallo scrivere in preda alle emozioni. E le reazioni delle persone, in questi casi, sono interessanti e tutt’altro che secondarie poiché ritengo che un atto orribile come quello dei giorni scorsi sia stato concepito e realizzato proprio per provocare reazioni.

Mi hanno colpito, tra tutte le cose che ho letto in questi giorni, i diversi punti di vista; ma tre spunti in particolare mi danno da riflettere e su questi continuerò a ragionare  perché credo che, benché la situazione sia molto più complessa di quanto io possa capire, forse potrei trovarci qualche chiave di lettura.


Il primo spunto viene da un blog che non so citare correttamente poiché purtroppo mi sfugge il riferimento. Parafrasando, poneva più o meno questa domanda: “chissà quanto e cosa hanno perso i terroristi nel loro paese per scegliere di andare a morire facendosi saltare in aria a migliaia di chilometri da casa?”.
Riflessione che voglio collegare ai numerosi proclami di tutti quelli che scrivono, o stanno scrivendo, sui social: “bisogna ucciderli tutti”, “dobbiamo tirare una bomba atomica sull’ISIS”, “bisogna radere al suolo l’Islam”.
Ecco, secondo me si tratta dello stesso, identico sentimento: rabbia per un sopruso subito, per un’ingiustizia troppo forte da poter essere tollerata, voglia di vendetta. L’unica differenza è che nel secondo caso, fortunatamente, non c’è sufficiente disperazione, non si è stati colpiti personalmente, si tratta di rabbia espressa tra un piatto di pastasciutta e un PC. Mentre gli esecutori dell’orrore parigino probabilmente avevano già perso tutto.

Il secondo spunto me l’ha dato un’altra frase che ho letto in questi giorni e che non so citare perfettamente, ma che diceva più o meno: “dopo la prima guerra mondiale, tra i vinti coloro che soffrivano di più erano i poveracci, mentre tra i vincitori egualmente erano i poveracci a soffrire”.
A Parigi sono morti degli innocenti, dei poveracci, persone che si stavano godendo il venerdì sera in una città bellissima nella quale le loro vite dovevano essere al sicuro. Quasi sicuramente nessuno di loro ha mai sparato un colpo di arma da fuoco contro un’altra persona, né lanciato un missile, né effettuato un bombardamento. Non meritavano di morire in questo modo.
Ed parimente, in troppi luoghi altri innocenti muoiono allo stesso modo, senza lo stesso clamore mediatico, senza provocarci sgomento perché sono lontani, senza farci paura perché tanto "sono bestie". Ma loro, egualmente, non meritano di morire in questo modo.
Sono tutti loro i poveracci. I parigini, i siriani, i keniani, i nigeriani. E tutti coloro che sono stati e che saranno il dazio da pagare alla gente che prende decisioni e che dispensa morte, ma che per la strada gira con la scorta. Sentite Gigi Proietti che recita Trilussa.
In questo momento Hollande, da SkyTG24, sta dichiarando guerra. Per chi se ne stesse rallegrando, voglio ricordare che nella storia non è mai esistita una sola guerra che abbia fatto danni ad uno solo dei contendenti. Ma tanto, finché in guerra ci vanno gli altri...

Ultima riflessione, quella che mi provoca più rabbia personale, è la qualità della classe politica Italiana.
Domenica ho parlato col mio amico Enrico che vive a Parigi con la famiglia; dopo essermi accertato che stessero bene, la mia voglia di comprendere mi ha portato a chiedergli: “ma anche in Francia sta montando l’odio verso gli islamici?”. Mi ha risposto di no, che quello che gli ho chiesto era inconcepibile in un Paese come la Francia, il cui tessuto è veramente socialista e dove l’integrazione è reale e gran parte dei cittadini è di origine straniera. Non immigrati: cittadini! E che in momenti del genere anche politici come Le Pen si guarderebbero bene dal fare proclami razzisti.
L’Italia invece, che ha sempre scimmiottato la Francia a partire dalla bandiera, continuando poi con un modello nazionale che copia “la République”, imitandone la laicità ma rimanendo cattolica, imitandone l’apertura sociale ma rimanendo “romana” (parlo di nepotismo, raccomandazioni, conoscenze). L’iItalia, dicevo, non ha questa fortuna. L’Italia ha statisti di ben altro spessore. Due esempi su tutti: Matteo Salvini e Maurizio Gasparri.
Matteo Salvini è una persona piccola, meschina e calcolatrice, che ha capito molto bene come si muove la macchina della politica italiana. Salvini ha deciso di raccogliere voti sfruttando e alimentando l’odio e la paura che i suoi elettori provano nei confronti del diverso che, nella storia italiana, una volta era il vicino, poi l’abitante dell’altro quartiere, poi il cittadino del paese vicino, poi il terrone e, adesso che gli orizzonti sono più ampi, lo straniero, lo zingaro, l’africano. Mi sono sempre immaginato il seguace salviniano in canottiera, impegnato a guardare la TV mangiando pastasciutta e biascicando insulti contro le notizie di cronaca, ben chiuso in casa, al sicuro nel suo mondo di certezze, impaurito da chi queste certezze cercava di intaccarle. Purtroppo non è così, o, perlomeno, non lo è più; e temo che se andassimo ora alle elezioni, la Lega risulterebbe il terzo partito in Italia. Io non so nemmeno se Salvini sia veramente razzista; ma non esserlo non sarebbe un’attenuante, anzi, lo renderebbe ancora più cinico e viscido. Chissà se si ricorda, Salvini, che degli ultimi 20 anni la Lega ne ha passati al governo almeno la metà e che l’unica legge per contenere l’immigrazione che sono riusciti a produrre quelli come lui è stata la Bossi-Fini, una schifezza che come si può vedere non ha funzionato, ma che tante difficoltà ha creato agli italiani che lavoravano all’estero.
Maurizio Gasparri è Senatore della Repubblica. Nessuno, come lui, ha beneficiato del “Porcellum”, perché senza le liste bloccate credo che non avrebbe raccolto nemmeno i voti dei parenti. Gasparri passa il tempo ad insultare i cittadini della Repubblica per la quale ha giurato; e lo fa metodicamente, uno per uno, sui Social. E questi insulti sono la più alta espressione del suo pensiero; quando parla seriamente, è molto, molto peggio. Non male per un Senatore; ma forse è quello che ci meritiamo.

Non vorrei che nelle righe che ho scritto qualcuno leggesse una mia assoluzione nei confronti dei terroristi. Non è così. Io li odio. Li considero la merda dell’umanità.
Ma letteralmente: in questa umanità che pensa solo a mangiare sempre di più, un metabolismo malato defeca male, defeca marcio. E questa è la merda che produce.


E, nel ricordare che tutto quanto scritto sopra non è “verità assoluta”, ma solo opinioni mie, penso che forse forse, ad esportare troppa democrazia, ad un certo punto arrivi il dazio da pagare.

Ps. Noto che i profili facebook dei miei amici capoverdiani non riportano il tricolore francese, bensì i colori del Kenya o delle Nigeria. Al mondo è veramente tutto, ma proprio tutto, relativo.

martedì 10 novembre 2015

Cose di Casa!

La mia permanenza in Italia trascorre molto veloce perché in pratica si riduce al tempo che intercorre tra un pasto e l’altro. Quindi, molto poco. Tornerò a Capo Verde con degli sviluppatissimi muscoli lardominali.

Mi sto gustando delle lunghissime, confortanti docce. Mi insapono, canto, mi sciacquo, mi insapono di nuovo, canto, scivolo, mi spavento, incolpo il Karma, smetto di cantare, mi sciacquo. Non è che a Tarrafal non ci sia acqua, ma esistono svariati motivi che rendono la doccia capoverdiana una necessità da disbrigare nel minor tempo possibile.
In primo luogo non c’è il box, anzi!  Nemmeno una bruttissima tenda; sicché parte dell’acqua tende a riversarsi nel bagno, con un bellissimo effetto Everglades ma con gli scarafaggi al posto degli alligatori. E mi toccherebbe asciugare.
In secondo luogo il piatto doccia è poco profondo, ha un’inclinazione sbagliata e lo scarico lento. Di conseguenza, anche l’acqua che rimane lì dove dovrebbe, tende a strabordare velocemente e a riversarsi fuori, unendosi a quella di cui sopra e che sempre io dovrò asciugare.
Infine non ho il boiler. Non che serva particolarmente, viste le temperature miti. Ma una doccia con l’acqua tiepidina ha meno appeal di una vaporosa doccia calda.
La verità è che da quelle parti non costruiscono particolarmente bene.

Per fare altri esempi a casa mia, che è una bellissima villetta, esistono dei controsensi assoluti. Per cominciare, nel bagno degli ospiti c’è un'assurda finestra fissa, murata, che non si apre; praticamente una vetrata. E, trattandosi di un bagno, gli ospiti che lo hanno usato si sono sempre trovati nell’imbarazzo di scegliere tra lasciare la porta aperta per fare uscire il vapore o chiuderla per non fare uscire i vapori.
I lavori di ristrutturazione, poi, hanno sconvolto gli equilibri strutturali della casa: un triste esempio è che, piastrellando gli esterni, il livello della casa risulta a filo del cortile e la pioggia degli ultimi mesi mi allagava sistematicamente la cucina, che per l'occasione, si tramutava in una succursale del Vaticano per via dei Santi nominati.
Discutibile anche la scelta di materiali. A prescindere dalla difficoltà nel reperire le materie prime in loco, optare per i corrimani in acciaio e per le piastrelle nere  sul terrazzo, in un paese dove il sole picchia senza sosta, non si può decisamente definire un colpo di genio. A meno che uno non voglia cuocere uova sul pavimento.


Ma non è un problema solo di casa mia; gli altri non sono messi meglio!
Nell’Hotel dove ho alloggiato un mesetto, ad esempio, i tocchi di classe erano innumerevoli. Encomiabile esempio, la tazza del wc che non aveva spazio per le gambe, toccando praticamente il box della doccia. 
Oppure il corridoio in pendenza, dove appoggiando la valigia, la vedevi procedere da sola senza aspettarti. O la mia preferita: le scale con gli scalini di altezza diversa: strani in salita, pericolosissimi in discesa.

Le case private, poi, sono fantastiche! Un imprescindibile classico è rappresentato dalla grondaia che scarica nel giardino dei vicini, roba che da noi porterebbe a scambi di coltellate e faide decennali.

Insomma, si costruisce un po' naif, ma si vive molto all'aperto. Non me la sento di biasimarli.
Intanto, mentre scrivevo questo post, Sky Music ha passato "What is love" di Haddaway. Mi sono fatto portare dai ricordi di gioventù e mi sono messo a ballare in casa.
Da solo.
In mutande.
Davanti alla finestra.
Il valore immobiliare dell'appartamento di fronte alla mia è improvvisamente crollato.

domenica 1 novembre 2015

Cosa mi manca dell'Italia.

La domanda classica che viene posta a chi si trasferisce all'estero è: "cosa ti manca del tuo paese?".
Non so bene se funzioni così ovunque, ma, per la mia esperienza, in Italia è un po' una costante; in particolare, da popolo di mangiatori quali siamo, le domande vertono molto sugli aspetti eno-gastronomici del paese di destinazione; paese che, più è esotico, più ovviamente suscita curiosità.



Cosa mi manca dell'Italia? Avrei dovuto (e voluto) scrivere questo post prima di rientrare a casa, dove mi trovo in questo momento; ma una serie di eventi e di circostanze avverse non mi hanno permesso di tener fede ai miei propositi. Sarebbe stato il momento migliore per riflettere sull'argomento, in quanto dopo sei mesi di permanenza continua all'estero avevo raggiunto il picco massimo della nostalgia (se nostalgia si può chiamare).
Adesso però sto scrivendo nella pausa post-pradiale dopo che mia mamma mi ha cucinato il PIL del Belgio, e tutte le cibarie che mi apparivano in sogno e che non vedevo l'ora di riassaggiare, ora le vedo come sfocate nelle nebbiose terre della sazietà!

Cosa mi manca quindi? La pasta? No, la pasta c'è, c'è ovunque. Il caffè? No, il caffè capoverdiano è molto, molto buono. Gli amici e la famiglia. Sì, molto. Ma è anche vero che qui la loro vita scorre con ritmi diversi e paralleli rispetto ai miei e che quando torno non riesco mai a godermeli come vorrei.
La televisione Italiana? Per carità, no! Il mio primo giorno in Italia mi sono dovuto sorbire un intero TG5 e ho scoperto che c'è ancora il Grande Fratello. Io pur di non dovermi sorbire un solo minuto di RAI o di Mediaset, continuo a pagare Sky anche quando sono via... Quindi no, la TV decisamente no. Anzi, non gliela perdonerò mai, ai Maya, di avermi illuso qualche anno fa!
Mi mancava molto Deejay Chiama Italia, ma con la App di Deejay e con l'ora legale, me l'ascolto anche a Capo Verde senza problemi.
I cocktail nei bar? Sì, anzi, più che altro la possibilità di berli! Così come apprezzo il fatto che vado al supermercato e trovo di tutto, mentre a Tarrafal una spesa completa richiede tempo, energia e molta pazienza nel reperire ciò che mi serve.
Mi manca abbastanza parlare la mia lingua, mi mancano i Simpson, mi mancano il mio letto e il mio appartamento comodissimo.
Mi mancano alcune cosine buone da mangiare, e, poiché il Piemonte da il meglio di sé in autunno, con funghi, castagne, vino, polenta e risotti, sono capitato a fagiuolo. Sto già facendo nuovi buchi alla cintura.

Ma posso anche sfruttare il ritardo col quale scrivo questo post per integrarlo con "ciò che non mi manca".
E, a costo di andare sul banale e sul retorico, si tratta sempre delle solite cose di noi italiani.
Non mi manca il fatto che non ci si rivolga il saluto, che ci si prenda troppo sul serio, che in macchina ci si trasformi e si diventi idioti aggressivi.
Detesto i telegiornali e lo sciacallaggio che fanno, nascondendo, dietro al diritto di cronaca, una becera ricerca di ascolti.
Non mi mancano la politica, la pioggia, la musica italiana.

E ora basta perché poi mi intristisco, quando in realtà sono in ferie.
Quando mi chiedono com'è l'Italia, rispondo sempre: "è il paese più bello del mondo, ma ha un unico difetto: è pieno di italiani!"
Stasera mi sparerò tre spriz. E non se ne parla più!

sabato 17 ottobre 2015

La vita, l'amore, le vacche.

Tra gli amici che sono venuti a trovarmi la scorsa settimana, oltre a Ciccio e Nicky che sono anche miei ex-colleghi, c'era il padre di quest'ultima, Flavio, cuoco di esperienza internazionale. Qui ha dimostrato tutta la passione che mette nel suo lavoro, cucinando ogni sera cene pantagrueliche e diventando, in pochi giorni, il personaggio più conosciuto e amato a Tarrafal; in particolare da venditrici del mercato e pescatori. La popolazione locale di aragoste e di polpi, invece, ha salutato con un sospiro di sollievo la sua partenza; partenza che mi ha lasciato un frigo pieno di ottimi avanzi e un girovita appesantito di 3 kg.


Ieri ha piovuto nuovamente, dopo circa 3 settimane di sole; la stagione delle piogge è agli sgoccioli (letteralmente), ma qualche giornata così può ancora capitare. Trovo sempre bello e stupefacente lo spirito col quale i capoverdiani vivono la pioggia, in particolare dopo la paura, scampata, di un nuovo anno di siccità. Camminano sotto l'acqua scrosciante senza fare una piega; i maschietti, in particolare, restano a torso nudo e se la scialano, complici anche i 28 gradi dei giorni cosiddetti "brutti". Inoltre, considerando che molti sono privi di acqua corrente in casa, capita spesso di vedere bambini e adulti che si lavano in mezzo alla strada, sotto l'acqua battente piuttosto che sotto qualche grondaia. Io, arrivando da Biella, non avrei mai pensato che al mondo ci fosse qualcuno che potesse amare la pioggia; personalmente, in un classico pomeriggio di maltempo, nomino più Santi che Giovanni Paolo II in tutto il suo pontificato.


Tarrafal, specie nelle zone periferiche come quella in cui vivo, è completamente ricoperta di erba che, ormai, è diventata anche bella alta.
Per chi possiede mucche è abitudine legarle da qualche parte la notte, in modo che possano mangiare senza allontanarsi; solo che non legano le povere bestie nel cortile di casa propria, bensì in determinati posti che rispondano a questi requisiti: tanta erba e illuminazione pubblica (in modo che non gliele rubino).
E poiché nella mia zona la luce è presente solo fuori da casa mia, il risultato è che questi simpaticoni leghino le vacche sotto il mio balcone, andando a coniugare così il mio fragile amore per gli animali (incrinato dall'incredibile accanimento di mosche e zanzare contro la mia persona) con il mio assoluto odio per lo svegliarmi presto.
Infatti gli incolpevoli bovini, all'alba, iniziano a muggire senza soluzione di continuità, cancellando in me, in pochi minuti, tutto il sentimento maturato nei confronti della loro razza in lunghi anni di simpatia per Clarabella, per le mucche di Fruttolo e di Milka, e ovviamente per Alvaro di Fantazoo.
Inoltre non riesco mai a cogliere in flagrante i proprietari quando me le portano sotto casa, per invitarli, con la mia ben nota cortesia, a desistere dall'intento.
Ieri notte, esasperato e memore di un consiglio del sempre utile Andreas, ho deciso di andarle a slegare per portarle altrove.
Volevo essere un mix tra un ninja e James Bond. Sono risultato un incrocio tra Mr Bean e Fantozzi.
Un idiota: solo, in pantaloncini e maglietta tra l'erba alta e fradicia, assaltato da insetti di ogni tipo, affondando in buche piene d'acqua che non vedevo; la segretezza dell'operazione è stata subito compromessa da un branco di cani, ai quali normalmente allungo gli avanzi, che da perfetti Giuda si sono messi ad abbaiare non so se allegri o furiosi. Finalmente, sempre accompagnato dalla fanfara canina, sono giunto vicino alla vacca. Voi avete mai spostato una mucca? Io no: è enorme. Inoltre, vuoi perché avvicinata da un estraneo, vuoi per la cagnara che aveva attorno, non sembrava affatto di buon umore. Una breve riflessione mi ha portato a decidere che poverina, in fondo non mi da tutto questo fastidio, e che anche lei è figlia di Dio. E sono tornato a letto fradicio, pieno di mozzichi di insetti e accompagnato dai latrati di scherno dei cani. Cani che da oggi inizieranno lo sciopero della fame.

Lunedì arriveranno altri miei amici, quelli con i quali sono cresciuto. Sono molto emozionato, è un'occasione speciale. Ma avrò modo di parlarne in futuro.

mercoledì 14 ottobre 2015

Cambio degli armadi.

Anche a Capo Verde l'estate volge finalmente al termine e le temperature calano drasticamente. Mentre scrivo sono le 12:42 e i 32 gradi con 70% di umidità mi stanno facendo sudare come Luca Giurato alle prese con un congiuntivo.


Ieri sera sono partiti, dopo 8 giorni, tre miei cari amici che sono venuti a trovarmi. Hanno vissuto, in questo breve tempo, tutte quelle piccole cose, quelle emozioni e quelle differenze culturali con le quali io ho a che fare da gennaio. Hanno quindi avuto modo di conoscere il calore e la disponibilità della gente del luogo ("ho conosciuto più persone in una settimana qui che in un anno a casa"), hanno visitato gli asili strapieni di bambini, mi hanno accompagnato a Praia in un viaggio ancora più lungo del solito per le strade dissestate dalle passate piogge, hanno avuto a che fare con "l'elasticità" locale nella gestione del tempo.
Mercoledì abbiamo per esempio ordinato qualche kg di polpo dando appuntamento all'allegro giovanotto in un determinato posto; lui è andato a procacciarselo. L'abbiamo rivisto ieri, il lunedì successivo; ha detto che ci ha cercati, ma che non aveva il nostro numero e che comunque non ha credito nel cellulare che, nel dubbio, lascia a casa.

Quella della gestione del cellulare è una cosa che mi manda fuori di testa. Tutti qui hanno il cellulare, ma proprio tutti. Però le telefonate sono carissime, ben più care che in Italia, e gli stipendi, quando ci sono, sono bassi.
Sicché tutti usano internet ma nessuno telefona e, quel che è peggio, nessuno risponde al telefono. Al limite ti fanno uno squillo se e quando trovano la tua chiamata.
E comunque nessuno dice il suo nome quando ti chiama, mentre mancano completamente i saluti di rito prima di chiudere: la telefonata si interrompe con un "click" improvviso, roba che se non te ne accorgi, vai avanti a parlare da solo per qualche minuto (e a me capita spesso... sono i casi in cui sfoggio il mio miglior portoghese!).
Anche dal vivo le convenzioni sono diverse: in fase di presentazione ti baciano sulle guance (ovviamente dal lato opposto al nostro; ho limonato involontariamente con mezza isola!); oppure quando una persona arriva saluta tutti i presenti uno per uno dando la mano, operazione che, quando si incontrano due gruppi di amici, richiede anche diversi minuti. Per andare via, invece, un ciao veloce e fugace e puff! spariti.

Ho notato che dopo quasi 10 mesi qui è avvenuto un cambiamento nel mio carattere: sono più sereno, tranquillo, evito di prendermela per un nonnulla. In Italia, invece, se qualcuno mi tagliasse la strada in macchina, sarei capace di attaccar briga anche se si trattasse di Gandhi alla guida, con Madre Teresa navigatore e il Dalai Lama e Osho seduti dietro.
Dicevo che quindi mi sento più sereno; ma è bastata una partita a scopa.
Quando Ciccio ha girato in tavola 3, 4, 5 e 2 di denari e mi ha servito tre assi, per poi prendersi il Settebello, mi hanno dovuto fermare mentre con la schiuma alla bocca cercavo di strappare le carte.
Ne ho ancora da lavorare.


Domenica in Italia torna l'ora solare e io potrò ascoltare di nuovo Deejay Chiama Italia; inoltre tra poco sarò in Piemonte e mi sfonderò di funghi, anche quelli velenosi.
Mi piace l'autunno.

venerdì 25 settembre 2015

Le 10 cose che ho imparato sulla pesca.

Tarrafal ha una importante tradizione di pesca e, più in generale, Capo Verde si sta affermando come meta di élite tra gli amanti di questo sport.
Quindi, da ingenuotto, mi sono detto: perché non provarci anche io? Detto fatto: canna nuova alla mano, ami, piombi e altre cose che mi hanno regalato ma che non ho ancora ben identificato, e mi sono lanciato verso questa nuova avventura!
Tra un'uscita in barca e diversi tentativi dagli scogli, questo è ciò che ho imparato finora sulla pesca:


1 - La pesca non è uno sport per autodidatti. A meno che non si studi tutto lo scibile in materia su internet come farebbe Sheldon Cooper, l'idea di andare belli freschi a pescare, senza qualcuno che ti insegni, non è praticabile. Puoi provarci, salvo poi trovarti avvolto nella lenza come il rollé domenicale di mia mamma.

2 - Gli ami non amano nessuno. Se un amo può bucare un pesce, chi l'ha detto che non possa fare altrettanto con la pelle? Non avendone mai maneggiati, mi sono trovato ben presto con più piercing addosso di una suicide-girl. Se io contassi come preda, calcolando ogni volta che mi sono "preso", avrei fatto la migliore "pesca miracolosa" dai tempi di San Pietro.

3 - Non è affatto facile. Tornando a quanto sopra, se Gesù ha dedicato più di un miracolo alla pesca e ai pesci, c'è un motivo: di quello c'è bisogno, del miracolo. E comunque, se la matematica non è un'opinione, anche se Gesù moltiplicasse i pesci che ho preso finora, sempre zero rimarrebbero!

4 - I pesci hanno gusti discutibili. Vermi, mosche, pezzi di altri pesci. Bisogna essere pronti a maneggiare cose viscide che lasciano le mani appiciccaticce di materia organica come sangue e interiora di pesce; cioè un irresistibile polo di attrazione per tutti gli insetti nel giro di centinaia di metri. Praticamente i pesci mangiano schifezze; sarà per questo che ci abbinano l'acqua.

5 - La scappatina. Se possono, i pesci mangiano a scrocco e se ne vanno dopo aver sbocconcellato allegramente l'esca senza darti la ragionevole soddisfazione di farsi acchiappare. Ma del resto, qui sono di cultura "portoghese". Praticamente ho aperto un ristorante per pesci.

6 - Vestirsi adeguatamente. Mi sono sempre chiesto: ma perché Sampei indossa quell'inguardabile cappello di paglia, che fa tanto mondina del Laos? La risposta, dopo tre giorni consecutivi di pesca, la si può trovare scritta in fucsia sul mio povero collo, a contatto del quale si fonderebbe anche l'anello di Sauron.

7 - Meglio da soli. Anche se avrei preferito avere un maestro, visti i risultati sono felice di essere andato a pesca da solo. La scusa è che ti godi il silenzio, l'aria di mare, il rumore delle onde. La verità è che, per trovare un altro momento del genere della mia vita, in cui si mischiano vergogna, solitudine e incapacità, devo risalire all'adolescenza.

8 - Che scoglioni. Pescare dagli scogli sembra romantico, avventuroso e non particolarmente difficile. In realtà è un'impresa e se, come me, non hai le movenze di uno stambecco di mare, il camminare scivolando, con in una mano la canna, nell'altra il secchio e in bocca un Santo, può creare non poco disagio.
Inoltre lo scoglio tende a prenderti per i fondelli e a trattenerti il piombo. Tu pensi di aver preso una balena, con all'interno Giona, Geppetto e Galeazzi, e tiri, tiri, tiri... finché te ne fai una ragione e tagli la lenza abbandonando il piombo in mare. Un altro paio di giorni e sotto gli scogli ci sarà così tanto metallo che il polo nord magnetico si sposterà verso Capo Verde.

9 - Marco se n'è andato e non ritorna più. Dopo un po' di tempo con la canna in mano, chi, come me, è abituato a stare in quella posizione giusto il tempo di una minzione, si inizia ad annoiare. E quindi ci si trova nella situazione ossimorica di aver scelto un'attività solitaria e, allo stesso tempo, di patire un po' la solitudine. Si rimedia in fretta: la prossima volta porterò con me una silenziosa compagna di avventure: la birra!

10 - Guardarsi intorno. Ogni mezz'ora faccio una ricerca su Youtube della seguente frase, tradotta in tutte le lingue: "italiano idiota cerca di pescare e si avvolge nella lenza". Sarà paranoia, ma alle mie orecchie, mischiato al suono del vento, giungeva quello di inequivocabili risate. Ma magari erano i pesci.

venerdì 18 settembre 2015

Impressioni di Settembre

Arrivando a Tarrafal ci si stupisce nel notare tra l'azzurro del cielo, il blu del mare e il verde di Monte Graciosa, una invadente presenza del colore grigio.
E la motivazione di questo grigio è ancora più strana. Ogni famiglia di Tarrafal, come nel resto di Capo Verde, ha un terreno per costruirsi una casa; ma pochi sono quelli che possono permettersela. Il grandissimo numero di emigrati ha quindi creato questo fenomeno: le persone vanno all'estero per lavorare, iniziano a mettere da parte un gruzzolo, lo investono nei lavori per la casa e, quando i soldi finiscono, il cantiere si ferma fino all'arrivo di risorse fresche.
Ne consegue che, da un giorno all'altro spunti un cantiere dove, magari, lavorano 30 operai per 18 ore al giorno, sotto il solleone o sotto la pioggia (orari preferiti: la mattina alle 6 quando dormo, o il pomeriggio all'ora della pennica!). Poi i soldi finiscono e restano gli scheletri di cemento armato e le pareti grigie (mancando i mattoni, qui fabbricano dei "blocchi" di cemento). E spesso restano così per anni.
L'effetto è deprimente, per una cittadina altrimenti così carina. Ma anche coloro che riescono a completare la casa spesso non migliorano l'estetica di Tarrafal.
Vige un po' il concetto de "Lo zio d'America"; cioè l'emigrante che torna e deve dimostrare di aver avuto successo, a costo di sconfinare (e abbondantemente!) nel cattivo gusto.
Quindi, oltre a far sfoggio di macchinoni talmente tamarri che Lapo Elkann in confronto è Enzo MIccio, si costruiscono case assolutamente improbabili in un paese di mare: in Tarrafal al momento fanno bella mostra di sé un paio di chalet, nonché alcune casette ricoperte di piastrelle che vorrebbero essere in stile portoghese, ma che sono invece più vicine ad un catalogo Pozzi e Ginori.

Le case "abbandonate" per anni seguono poi dei percorsi di vita inimmaginabili.
Da un mese e mezzo ho traslocato e adesso abito in una bellissima villetta vista mare. Di fronte alla finestra di camera mia c'è una di queste case non ancora ultimate il cui proprietario, pare, è attualmente alloggiato e nutrito a spese dello Stato.
Questa casa è quindi diventata una "casa para todos", l'equivalente delle nostre case popolari e, al pari di molte di esse, è occupata in maniera completamente abusiva.
Quindi più di trenta persone, tra cui numerosissimi bambini, vivono in questa abitazione senza luce, senza acqua, passando la maggior parte del tempo in strada, litigando e urlando fino a tarda notte come ci si può aspettare da un popolo così passionale soprattutto quando i rapporti interpersonali galleggiano sopra litri di alcol.,
E ognuna di queste famiglie ha preso completo possesso del proprio alloggio, chi intonacandolo, chi mettendo gli infissi e via discorrendo. Sono curioso di vedere cosa succederà quando il proprietario uscirà di prigione. SE MAI ne uscirà!

Dopo più di un mese di colpevolissima immobilità, ho ripreso a correre sparandomi 6,5 km in scioltezza. Quando si è fuori allenamento ogni passo è una fatica e non si è tolleranti con nessun ostacolo che si presenti lungo il cammino, sia esso una donna con un passeggino o un anziano col bastone.
Avevo quindi già deciso di attraversare il gregge di pecore che occupava la carreggiata che stavo percorrendo, quando il poco sangue che ancora affluiva al cervello mi ha fatto provvidenzialmente notare che tutte le altre persone a piedi procedevano cautamente sul lato opposto della strada; guardando ancora il gregge, al quale mi stavo rapidamente (ahahah!) avvicinando, mi accorgo che ci sono ben tre montoni, dei quali uno si è fermato e mi sta guardando con aria molto poco benevola.
Memore della mia disavventura automobilistica e poco desideroso di farmi spezzare un femore da un muflone africano, recito una rapida preghiera a Sant'Abebe Bikila e attraverso rapido la strada.
Nella classifica degli animali più coraggiosi, dunque, io ormai vengo dopo la pecora.


Un'epidemia di gastroenterite virale ha messo un sacco di persone se non in ginocchio, quanto meno sedute.
L'importante è guardare sempre il lato positivo delle cose: sto rapidamente dimagrendo.

mercoledì 9 settembre 2015

Basta poco.

Un paio di mesi fa ho lanciato un appello su Facebook: invitavo i miei contatti a disfarsi dei loro vestiti dismessi, degli zaini usati, delle scarpe inutilizzate, inviandomele tramite degli amici che sarebbero venuti a trovarmi e che avrebbero quindi fatto da corrieri.
L'adesione è stata superiore a ogni mia immaginazione.
Mi hanno risposto in più di cento, chiedendo informazioni, organizzando raccolte e spedizioni. L'unico problema che abbiamo incontrato è stato gestire l'eccessiva quantità di materiale spedito, tant'è che ho dovuto chiedere a molte persone di non mandarci nulla in quanto sarebbe rimasto in Italia. E non c'erano strade alternative: spedire pacchi dall'Italia, oltre ad essere incredibilmente caro (sui 200€ pare), non da nessuna garanzia di ricezione!
I vari amici che sono venuti a trovarmi, mio fratello Vincenzo, e poi Beppe, Serena, Angelo, Stefania, Enrico e Tecla, hanno sacrificato la quasi totalità del proprio bagaglio a questa causa, ma i limiti di peso in aereo sono rigidi, sicché al momento non si è potuto fare di più. Ma resta la forte, confortante prova che noi italiani siamo un popolo di cuore, e che, più in generale, al mondo ci sono tante brave persone.

Ma qui cosa abbiamo fatto di tutta questa roba?
La premessa era questa: la quasi totalità delle persone che ci hanno aiutati, l'hanno fatto sottolineando che "lo facciamo perché ci sei tu!". Che tradotto vuol dire che molta gente ha voglia di fare e di aiutare, ma ci crediamo poco delle associazioni e abbiamo più fiducia di una persona in loco che se ne occupi direttamente.
Esistono centinaia di associazioni serie in cui lavorano volontari veramente ammirevoli; ma poi arriva gentaglia come Edoardo Costa, che semina dubbio e diffidenza e nella catena della beneficenza ci rimettono tutti.
Io, personalmente, con le persone che mi hanno portato gli aiuti e con alcuni amici locali, mi sono incaricato di identificare le situazioni di bisogno e di effettuare io stesso la consegna.
Ho ritenuto importante aver con me dei testimoni perché mi ero dato come punto fermo quello di non scattare foto, per non ferire la dignità delle persone che andavamo ad aiutare; ma alcune situazioni di gioia, di stupore o addirittura di euforia, specialmente da parte dei bambini, abbiamo voluto immortalarle.
Posso dire che quindi, nel nostro piccolo, le nostre gocce nel mare le abbiamo versate, e riporto a tutti i ringraziamenti di tante persone che hanno ricevuto magari una sola maglietta, ma l'hanno ripagata con un grande sorriso.


Purtroppo c'è sempre un'altra faccia della medaglia; mi è capitato di vedere in vendita, al mercato di Tarrafal, alcuni zainetti che avevamo donato a delle famiglie con bambini. Anche se probabilmente si sarà trattato di una situazione di bisogno, ritengo che sarà meglio in futuro distribuire solo roba usata e non materiale comprato ad hoc.

Capo Verde non è povera come altri paesi africani. Non ci sono quelle disperate situazioni che ho visto altrove, ma le persone bisognose sono comunque parecchie. In Italia abbiamo veramente tanto e qui serve tutto. Sembra facile. E lo è.
Facciamolo.
Grazie a tutti.

lunedì 7 settembre 2015

Capo finalmente Verde

Capo Verde deve il suo nome all'omonimo punta, in Senegal. Furono chiamate "Isole di Capo Verde" come riferimento geografico e il nome, rimasto all'arcipelago, infatti inganna un po'.
Perché, mi sono sempre chiesto, vengono chiamate "verdi" delle isole pochissimo piovose, alcune delle quali con dune talmente grandi da sembrare desertiche?
Svelato l'arcano, bisogna dire che più o meno a metà della stagione delle piogge, qui il colore verde ha finalmente assunto un ruolo da protagonista.
Sono impressionato dal fatto che tutto germogli, tutto fiorisca, tutti gli alberi gettino foglie nuove ad un ritmo incredibile, che il mais cresca di diversi centimetri al giorno.
La scorsa settimana abbiamo anche dovuto affrontare l'emergenza per l'uragano "Fred"; alcune isole sono state colpite in maniera importante, ma qui dove mi trovo io si è trattato praticamente di un semplice acquazzone, per quanto forte. La differenza con quelli che colpiscono Biella è che qui non ci sono impianti di scarico per le acque piovane, sicché si formano per il paese dei ruscelli impetuosi che portano il fango al mare.
Quello che ho imparato, però, è che gli uragani che da settembre a novembre si abbattono sui Caraibi e sulle coste americane, si originano al largo di Capo Verde. Al di là di interpretazioni karimiche, l'ho trovato affascinante.


Ovviamente, tra una pioggia e l'altra, le temperature sono inumane.
MI ha colpito molto che, mentre sotto la pioggia i capoverdiani camminano a capo scoperto e senza alcun fastidio apparente, con il sole invece usino diffusamente l'ombrello. Un mondo al contrario, ma, paese che vai...

Ho da poco comprato una macchina e sono già riuscito a prendere una multa. Questo dimostra che, come le più evolute democrazie, quella capoverdiana sia già ben strutturata per quanto riguarda il "fare cassa". Ma se prendere la multa è stato facile, pagarla è tutt'altro paio di maniche. Se penso che già solo per ottenere il "visto" sul passaporto, che all'arrivo si fa in due minuti, sono occorsi 28 giorni e 12 documenti, mi sento già le prime linee di febbre.
Quanto, quanto, quanto amano la burocrazia nei paesi lusofoni...


Purtroppo la pioggia da queste parti porta anche malattie. Ne ha fatto le spese la mia cagnolina Pandora che non è sopravvissuta. In seguito a non so quale affezione, è deperita e in soli 4 giorni, irriconoscibile, è morta. Devo constatare che la veterinaria di qui si è rivelata assolutamente non all'altezza, prendendo la cosa sotto gamba.
Va anche valutato che questa veterinaria si occupa di animali di allevamento e che quindi vede un randagino malato come una parte assolutamente marginale del suo lavoro. Ho anche pensato che avrei potuto portare Pandora a Praia, dove esiste una struttura più adatta; però anche lì non sono stati in grado di curare i due bellissimi rottweiler del mio vicino, che avevo fotografato qualche tempo fa, e che sono morti nello stesso modo.
Spero solo che la breve vita della mia bella e vivace cagnolina sia stata un po' felice di quanto lo sarebbe stata senza incontrarmi.
La nota incredibilmente toccante è stata la cura che Zacapa, la gattina che avevo adottato da pochi giorni, ha avuto per Pandora malata. Sono scene che ho visto solo in tv, ma che ho trovato molto commoventi.
Zacapa sta bene. Ho sempre ammirato l'indifferente eleganza dei gatti. La mia, invece, è molto coccolosa, mi cerca sempre e scoreggia come un bufalo. Quindi, di indifferente e di elegante ha ben poco.


Mosche e zanzare si stanno riproducendo senza controllo. Grazie al cielo, una sapiente unione delle abilità di Volta e di quelle dei Cinesi ha partorito uno strumento che mi sta dando parecchia soddisfazione. Volta meriterebbe di esser raffigurato, dopo che sulle lire, anche sugli euro.
I cinesi probabilmente lo saranno presto.

giovedì 27 agosto 2015

Alla fiera dell'est.

Le piogge di quest'anno sembrano aver appagato la brama di acqua dei capoverdiani, perlomeno di quelli con cui mi confronto. Si spera ancora in un paio di giorni di temporali, ma la tanto temuta siccità, che avrebbe prolungato quella dello scorso anno, con il conseguente disastro dell'agricoltura, paiono scongiurati!



Di sicuro anche per uno come me, che arriva dal piovoso Piemonte, lo spettacolo della pioggia qui è impressionante: scrosci impetuosi e continui che riversano al suolo tanta di quell'acqua che la terra, benché assetata, non riesce a contenere. Mancando una struttura fognaria, si formano ovunque torrenti che vanno verso il mare che, a sua volta, diventa torbido e schiumante e va a a ricoprire tutta la spiaggia. Per le strade, poi, si guida navigando a vista!


La pioggia però non mitiga per nulla la temperatura. Sto sudando così tanto che le zanzare non riescono a mordermi perché quando si posano, scivolano. Zanzare che, come tutti gli animali, si sono moltiplicate.
Una mattina ho avuto la bruttissima sorpresa, scendendo in cucina, di trovare una banana rosicchiata; se la prova non fosse stata sufficiente, mi sono accorto inoltre che c'era talmente tanta cacca di roditore in giro che sembrava fosse esplosa una fabbrica di uva passa.
Disgustato, ho dichiarato guerra.
Fase uno: sono andato dai cinesi a comprare un veleno per topi, il più potente che avessero. Non vorrei sembrare più ignorante di quanto sia, ma se penso alla Cina mi immagino distese sterminate di risaie e generazioni di cinesi in perenne lotta contro i topi... Quindi ho pensato "chi meglio di loro?". Fiasco totale.
Fase due: ho preso un gatto. Dopo il cane e il topo, direi che ho chiuso il cerchio e che Branduardi sarebbe soddisfatto di me! Il gatto, però, è ancora piccolo e nella lotta avrebbe avuto la peggio.
Fase tre: ho chiamato un baldo giovanotto di pochi fronzoli e di rara efficienza che ha stanato e messo KO un topazzo di almeno una chilata. Per inciso, il giovane in questione aveva gli occhi più "di ghiaccio" che io abbia mai visto e in Italia sarebbe conteso come marito già prima di effettuare il controllo passaporto.

Il gatto, che al momento non so se maschio o femmina, l'ho chiamato Zacapa, perché mi piace come nome e perché dopo qualche rum anche io ho difficoltà nel fare distinzione. Per ora subisce passivamente le angherie di Pandora, ma ha già mostrato un paio di volte le unghiette.
Al momento, in casa, ho quindi un cane, un gatto, una coppia di passeri psicotici, scarafaggi random e il fantasma di un topo. In tutto questo, io sono il cameriere che nutre tutto lo zoo!

domenica 23 agosto 2015

La stagione delle piogge.

Questo ultimo anno, a Capo Verde, la vita è stata molto difficile. In una economia che si basa ancora molto sull'agricoltura, l'assoluta mancanza delle piogge stagionali del 2014 ha messo molte famiglie in una situazione disperata.
L'agricoltura qui è molto semplice: all'approssimarsi del periodo delle piogge tutta la famiglia va sui propri campi e interra le piantine di mais, di fagioli o di altro. Dopodiché ci penseranno la pioggia, il clima e la straordinaria fertilità del suolo vulcanico.

Quest'anno, la tanto bramata pioggia sta finalmente dando soddisfazione. Ma per uno come me che viene da Biella, questa brama non è assolutamente condivisa.
Tanto per dirne una, a forza di scopare via acqua, ho dei calli sulle mani che non vedevo dai tempi del liceo!

Proprio a sottolineare i cattivi rapporti che intercorrono tra me e la pioggia, ieri mattina mi sono svegliato con una sorpresa. Per via di un sassolino che ha otturato lo scarico del balcone, l'acqua si è riversata nella mia camera e l'ha resa una risaia, quasi a volermi ricordare da dove vengo. Solo che io non ci avevo piantato il riso, per terra, bensì il mio Iphone sotto carica.
Sono quindi due giorni che mi trovo tagliato fuori dal mondo e dalle interessantissime conversazioni dei gruppi di Whatsapp dei quali faccio parte.
Ho portato il telefonino ad un tale Xirillo che ha un centro riparazioni nel mercato di Tarrafal. Descrivo meglio il "centro riparazioni": un gabbiotto di legno e metallo, con un tavolaccio sul quale, alla rinfusa, fanno bella mostra di sé le carcasse di centinaia di cellulari. Ogni vite che Xirillo toglieva, mi moriva una parte della parete cardiaca.
Al momento resto in attesa. Quanto meno, in attesa di capire se si è rivenduto il mio cellulare!

Sicuramente a causa della improvvisa abbondanza d'acqua, gli insetti si stanno dando alla pazza gioia. E esiste miglior festeggiamento di un banchetto luculliano? Nel dubbio, le zanzare hanno deciso di banchettare con me. Se con un pennarello si uniscono i puntini rossi sul mio corpo, esce fuori la formula chimica del Baygon.
Ieri notte, inoltre, c'è stata un'incredibile invasione di insetti volanti molto simili alle formiche. Centinaia in sala, in cucina, nel terrazzo. Io, per dar ragione a Darwin, ho lasciato in vita solo le più scaltre, quelle, cioè, che hanno scelto altre case come alloggio temporaneo.

Come scrivevo, qui la pioggia è una benedizione, fonte di cibo, di sostentamento, di allegria. E con molta allegria oggi, infatti, due bambini giocavano a schizzarsi nell'acqua fangosa che avrebbe fatto desistere i più scafati tra i Vietcong.
E quando ci sono luridume e fango, potrà mai il mio cane esimersi dal buttarsi a capofitto? L'ho tirato fuori che sembrava un pezzo dell'esercito di terracotta di Qui a Xi'an in attesa di andare in forno. E mi sa che sarà quella la fine che gli riserverò.

Ora basta scrivere che mi piove sul PC. Non avendo le foto del telefono, ne metterò una fi repertorio! Alla prossima!


sabato 15 agosto 2015

Dopo questo silenzio.

Riprendo a scrivere dopo un periodo di latitanza dovuto non a mancanza di argomenti o di volontà, bensì ad una tragica concomitanza di situazioni avverse che contemplano l'assenza di internet (imputabile a me, soltanto a me, nient'altro che a me), un ennesimo trasloco, un nefasto allineamento astrale e la malevolenza di qualche divinità da me troppo spesso nominata. Beh, rieccomi qui, in quel di Tarrafal.

L'estate e la stagione delle piogge mi hanno portato, oltre che un'umidità da foresta pluviale, anche la gradita presenza di due amici, Angelo e Serena, che purtroppo sono, nel momento in cui scrivo, già rientrati in Italia.

Con Angelo ho avuto il piacere di cimentarmi in una battuta di pesca. Dico battuta un po' perché non so di preciso come si chiami, e un po' perché chiamare "pesca" ciò che abbiamo fatto è davvero una battuta. Fantozzi e Filini sarebbero orgogliosissimi di noi!
Usciamo verso le 9 (più la solita mezz'oretta accademica), su una barchetta con un motore fuoribordo ottenuto probabilmente modificando quello di un asciugacapelli. Al timone l'espertissimo Vila, ad accompagnarci in nostro amico Adì. Appena fuori dalla baia buttiamo l'ancora (una pietra), e ci vengono consegnati gli strumenti del mestiere: delle lenze arrotolate una attorno ad una tavoletta di compensato, l'altra attorno ad una bomboletta di lacca, utile nel caso il pesce volesse presentarsi alla grigliata con un'acconciatura più voluminosa.
Gli amici capoverdiani attaccano alla lenza un amo, un peso (una pietra), mettono l'esca e via, nelle profondità del mare, dove l'acqua è più blu!
Dopo 30 secondi tirano su un pesce! Restiamo sbalorditi e ci prepariamo a fare la pesca miracolosa di San Pietro ma senza interventi divini in aiuto!
E intanto, i racconti da lupi di mare si sprecano: esiste uno squalo gigante che ha il territorio di caccia poco lontano, esiste una manta di 5 metri che si vede al tramonto e che, se non spegni il motore, ti affonda la barca, quella volta che due barche hanno preso un tonno gigante a Fogo e l'hanno portato fino a Tarrafal, e via discorrendo.
Intanto la barca tardava a riempirsi dei frutti dei nostri sforzi e, l'unico pesce fino ad allora catturato, aveva deciso di abbandonare questo mondo non per mancanza di acqua, ma per solitudine.
Risultato: dopo tre ore, vari spostamenti e mille trucchi provati, abbiamo portato a casa un'insolazione e un gran male al culo. E siamo andati a pranzo al ristorante.

Qualche giorno fa ho comprato una macchina. Il giorno seguente, mentre con Angelo e Serena ci trovavamo a percorrere una stradina pittoresca in un posto chiamato Tras do Monte, ci capita di passare di fianco ad un gregge di pecore. La cosa è talmente normale, qui, che ci faccio appena caso: le pecore si scansano al passaggio dell'auto e io, d'altronde, sto andando proprio piano.
Mi accorgo però che il montone ci sta guardando minaccioso; all'improvviso ci carica a testa bassa e mi incorna la macchina nella parte anteriore, il bastardo! Dopodiché si da alla macchia.
Scendiamo dall'auto e vediamo che la portiera si apre con difficoltà. Mi riprometto, quanto prima, di mettere una testa di montone come polena sul cofano della mia macchina!


Ho preso un cane, che da quando è arrivato, ha portato scompiglio e disastri. Si tratta di una femminuccia. L'ho chiamata Pandora. Al momento la cosa che più mi stupisce è il fatto che riesca, ogni giorno, a cagare l'equivalente del suo peso corporeo!
Ma mi sta facendo una gran compagnia nella mia casa troppo troppo grande! Vi aspetto, gente!

giovedì 30 luglio 2015

Volta de Ilha.

La mia permanenza a Capo Verde si sta rivelando un grande esercizio di autocontrollo. Il concetto molto americano di "il tempo è denaro", qui non esiste, anzi!
Il tempo è al servizio delle persone, non il contrario; bello come concetto astratto ma, applicandolo alla vita reale, un occidentale potrebbe impazzire.
Ne deriva che gli appuntamenti non viaggino su accordi tipo "domani alle 9", o "a mezzogiorno e mezza" o "stasera alle 20". Qui si ragiona tipo "domani", "più tardi", "quando ho finito", "prima di fine settimana".
In particolare, esiste una frase, la più pericolosa alla quale abboccare: "sto arrivando, sono per strada" che può significare qualsiasi cosa! Un'ora, un pomeriggio, domani, mai!
Io faccio molta fatica, non amo aspettare; se il Papa mi concedesse udienza privata a mezzogiorno, a mezzogiorno e 3 inizierei a prendermela con i malcapitati Santi affrescati nella sala d'attesa vaticana. A mezzogiorno e 5 me ne andrei così incazzato da prendere a spintoni le suore sul mio cammino.
E qui mi tocca aspettare, aspettare, aspettare, aspettare.
Come mi disse un portoghese qualche mese fa: Capo Verde è il paradiso per chi non ha voglia di fare nulla.



Un paio di settimane fa ormai (come vola il tempo!), sono venuti a trovarmi mio fratello Vincenzo e il mio amico Beppe, primi di una serie di amici che faranno capolino da queste parti nel corso dei prossimi mesi.
Si sono fermati una settimana e spero proprio che si siano divertiti quanto me.
Sicuramente la giornata più interessante è stata quella dedicata al giro dell'isola con Andreas, che di mestiere accompagna turisti.
In realtà ci siamo concentrati solo sulla parte nord di Santiago, isola che ha le dimensioni di una provincia italiana: partenza ore 8.30, rientro ore 18:30.
Le cose viste sono tante, sicché non mi dilungo, me quelle che reputo degne di nota sono due.



La prime è il villaggio dei "rebelados"; i rebelados sono una comunità che negli anni '40 si è allontanata dal resto degli abitanti dell'isola come rifiuto di un certo tipo di "formazione culturale obbligatoria", identificata nella sostituzione dei religiosi di riferimento da parte del governo portoghese e della Chiesa cattolica. Anche dopo l'indipendenza, per via delle frizioni tutt'ora esistenti col resto della popolazione, i rebelados continuano a vivere in comunità ben distinte e peculiari; oggi sono salvaguardati come fenomeno culturale.
Vivono in tipiche capanne di legno e foglie, con strade in terra battuta, animali a stretto contatto e bambini che girano scalzi e seminudi. La mia descrizione non è, e non può essere esaustiva. Bisognerebbe vedere con i propri occhi.




Non ho trovato la "vocazione commerciale" dei villaggi Masai del Kenya, ma anche qui, nella bottega del loro artigianato tipico, al visitatore occidentale è dato modo di acquistare delle emerite schifezze per centinaia di euro.

Altro momento clou è stata la visita ad una "fabbrica" di grogo, il tipico liquore locale ricavato dalla canna da zucchero.
Silos sterili, alambicchi lucidi, bottiglie allineate e splendenti... dimenticatevi tutto questo!
Se dovessi definirlo con poche parole, direi un "letamaio" dove, in forni sotterranei, ardeva continuamente la legna per distillare il liquore. Anche qui animali ovunque, aromi intensi in continuo mescolarsi, gente scalza che gira senza meta. Un caldo da squagliarsi e la pelle perennemente appiccicaticcia che nemmeno nelle foreste del Laos (sempre che esistano foreste, in Laos).
E poi, all'improvviso, il miracolo. Da un tubo di ferro, infisso nella terra, sgorga limpido, dolce e puro il grogo novello, come l'acqua in alcuni santuari alpini, pronto da degustare con una la scodella che anche Paolo Brosio si rifiuterebbe di berci l'acqua di Lourdes!
Mai giudicare dalle apparenze: anche nei luoghi meno ameni, può nascere la perfezione dell'alcol!



Sta iniziando la stagione delle piogge. Ieri, tornando da Praia, io e Andreas abbiamo attraversato il San Gottardo a novembre. Ma teniamo duro, in fondo siamo su un'isola tropicale!

lunedì 20 luglio 2015

Occasioni di svago.

In questi giorni sto scrivendo con meno continuità, ma non perché manchino gli spunti, anzi! Purtroppo la mia situazione abitativa precaria e il fatto che mio fratello e il mio amico Beppe siano venuti a trovarmi, mi hanno tolto molto tempo per scrivere.

Una decina di giorni fa mi sono trovato in piazza del comune, una piazzetta molto carina dallo stile coloniale, a bere una birra dopo cena col mio amico Nené. La bellezza di queste situazioni è che qui i ragazzi e le ragazze si conoscono tutti tra di loro, quindi anche se si esce in due, il tuo tavolo diventa il centro di un bellissimo andirivieni di giovani che ridono, scherzano, chiacchierano e si offrono da bere.
Quando ha chiuso il chioschetto dove stavamo bevendo, ci siamo spostati al "Bar Zenite", centralissimo, tra i più famosi, proprio di fianco al municipio.
L'incubo di ogni occidentale.
Entrando sembrava di trovarsi in un mix tra "il peggior bar di Caracas" e certe case di famiglie dedite al cannibalismo degli horror americani. Pavimento appiccicaticcio come se ci avessero spalmato anni di marmellata, luci tremolanti (non tutte; alcune non funzionavano proprio), vetri che sembravano smerigliati ma che erano invece sporchi da generazioni. Abbiamo ordinato birra in bottiglia (ho categoricamente rifiutato il bicchiere) e ho bevuto tenendo i piedi il più possibile sollevati da terra, onde evitare che si arrampicassero forme di vita sconosciute altrove.
L'impavido Nené ha ordinato un pezzo di morena fritta, che qui sgranocchiano con ostentata noncuranza, quasi fosse un Mars o una stecca di liquirizia; morena che, dall'aspetto, sarà incappata nella rete del pescatore ai tempi della deportazione degli schiavi. Non pago, ha chiesto un panino al tonno che faceva bella mostra di sé da chissà quanto tempo in una vetrinetta che non avrà mai conosciuto una spugna. Non so se esiste il karma, ma se così fosse, quel tonno dev'esser stato veramente un pesce cattivo per concludere così la sua esistenza!
Sono andato in bagno e ho davvero provato raccapriccio. Accendendo la luce, sono scappati via, zampettando sul pavimento, almeno 7 o 8 scarafaggi. Altri 3 o 4, sono rimasti fermi guardandomi accigliati, forse a rimproverarmi il fatto di non aver bussato.


Ieri sono stato invitato da Andreas e la sua nuova e bellissima fidanzata Vera ad una festa in piscina in un paesino che si chiama Calheta, che senza troppi fronzoli vuol dire caletta.
Non ho mai assistito ad una festa del genere e mi sono anche divertito!
Iniziamo col dire che eravamo, io ed Andreas, gli unici due bianchi.
La festa era iniziata a mezzogiorno e continuava fino a mezzanotte, noi siamo arrivati verso le 19.


E niente, è una festa che in Italia non può esistete perché dopo 4 minuti spunterebbe fuori il primo coltello a serramanico!
In pratica il divertimento consisteva nel ballare come folli e di buttarsi in acqua incuranti di chi ci fosse sulla traiettoria. Scontri, incidenti, ubriachi che cadevano dal parapetto (senza farsi nulla!!! Io sarei alle Molinette intubato e con un prete di fianco!!!), alcol senza freni; qui va molto di moda questo Grogo, un distillato della canna da zucchero senza pretese e, probabilmente, senza neuroni sopravvissuti.
Insomma, piscina piena di questi neri fisicatissimi, sorridenti e spericolati, incitati da un vocalist che urlava in creolo (ma tanto non capisco nemmeno quelli che parlano in italiano, io!). Tutti in acqua vestiti, con catenazza al collo e cappello e occhiali da sole anche di notte. Sembrava uno di quei video dei rapper di colore americani, solo che qui era evidente che c'era molto meno denaro... Infatti c'era molta meno topa!
Le poche ragazze che c'erano (1 ogni 5 direi, grazie alla genialata di marketing del proprietario che ha deciso di far pagare anche le donne), dovevano difendersi dalle avances pochissimo velate di numerosi e nerboruti pretendenti.
E si difendevano molto male.


Andando via, prima di addormentarmi in macchina mentre Andreas guidava, una domanda continuava a non darmi pace... Perché non ho preso un campione di acqua della piscina per farlo analizzare?