giovedì 30 luglio 2015

Volta de Ilha.

La mia permanenza a Capo Verde si sta rivelando un grande esercizio di autocontrollo. Il concetto molto americano di "il tempo è denaro", qui non esiste, anzi!
Il tempo è al servizio delle persone, non il contrario; bello come concetto astratto ma, applicandolo alla vita reale, un occidentale potrebbe impazzire.
Ne deriva che gli appuntamenti non viaggino su accordi tipo "domani alle 9", o "a mezzogiorno e mezza" o "stasera alle 20". Qui si ragiona tipo "domani", "più tardi", "quando ho finito", "prima di fine settimana".
In particolare, esiste una frase, la più pericolosa alla quale abboccare: "sto arrivando, sono per strada" che può significare qualsiasi cosa! Un'ora, un pomeriggio, domani, mai!
Io faccio molta fatica, non amo aspettare; se il Papa mi concedesse udienza privata a mezzogiorno, a mezzogiorno e 3 inizierei a prendermela con i malcapitati Santi affrescati nella sala d'attesa vaticana. A mezzogiorno e 5 me ne andrei così incazzato da prendere a spintoni le suore sul mio cammino.
E qui mi tocca aspettare, aspettare, aspettare, aspettare.
Come mi disse un portoghese qualche mese fa: Capo Verde è il paradiso per chi non ha voglia di fare nulla.



Un paio di settimane fa ormai (come vola il tempo!), sono venuti a trovarmi mio fratello Vincenzo e il mio amico Beppe, primi di una serie di amici che faranno capolino da queste parti nel corso dei prossimi mesi.
Si sono fermati una settimana e spero proprio che si siano divertiti quanto me.
Sicuramente la giornata più interessante è stata quella dedicata al giro dell'isola con Andreas, che di mestiere accompagna turisti.
In realtà ci siamo concentrati solo sulla parte nord di Santiago, isola che ha le dimensioni di una provincia italiana: partenza ore 8.30, rientro ore 18:30.
Le cose viste sono tante, sicché non mi dilungo, me quelle che reputo degne di nota sono due.



La prime è il villaggio dei "rebelados"; i rebelados sono una comunità che negli anni '40 si è allontanata dal resto degli abitanti dell'isola come rifiuto di un certo tipo di "formazione culturale obbligatoria", identificata nella sostituzione dei religiosi di riferimento da parte del governo portoghese e della Chiesa cattolica. Anche dopo l'indipendenza, per via delle frizioni tutt'ora esistenti col resto della popolazione, i rebelados continuano a vivere in comunità ben distinte e peculiari; oggi sono salvaguardati come fenomeno culturale.
Vivono in tipiche capanne di legno e foglie, con strade in terra battuta, animali a stretto contatto e bambini che girano scalzi e seminudi. La mia descrizione non è, e non può essere esaustiva. Bisognerebbe vedere con i propri occhi.




Non ho trovato la "vocazione commerciale" dei villaggi Masai del Kenya, ma anche qui, nella bottega del loro artigianato tipico, al visitatore occidentale è dato modo di acquistare delle emerite schifezze per centinaia di euro.

Altro momento clou è stata la visita ad una "fabbrica" di grogo, il tipico liquore locale ricavato dalla canna da zucchero.
Silos sterili, alambicchi lucidi, bottiglie allineate e splendenti... dimenticatevi tutto questo!
Se dovessi definirlo con poche parole, direi un "letamaio" dove, in forni sotterranei, ardeva continuamente la legna per distillare il liquore. Anche qui animali ovunque, aromi intensi in continuo mescolarsi, gente scalza che gira senza meta. Un caldo da squagliarsi e la pelle perennemente appiccicaticcia che nemmeno nelle foreste del Laos (sempre che esistano foreste, in Laos).
E poi, all'improvviso, il miracolo. Da un tubo di ferro, infisso nella terra, sgorga limpido, dolce e puro il grogo novello, come l'acqua in alcuni santuari alpini, pronto da degustare con una la scodella che anche Paolo Brosio si rifiuterebbe di berci l'acqua di Lourdes!
Mai giudicare dalle apparenze: anche nei luoghi meno ameni, può nascere la perfezione dell'alcol!



Sta iniziando la stagione delle piogge. Ieri, tornando da Praia, io e Andreas abbiamo attraversato il San Gottardo a novembre. Ma teniamo duro, in fondo siamo su un'isola tropicale!

lunedì 20 luglio 2015

Occasioni di svago.

In questi giorni sto scrivendo con meno continuità, ma non perché manchino gli spunti, anzi! Purtroppo la mia situazione abitativa precaria e il fatto che mio fratello e il mio amico Beppe siano venuti a trovarmi, mi hanno tolto molto tempo per scrivere.

Una decina di giorni fa mi sono trovato in piazza del comune, una piazzetta molto carina dallo stile coloniale, a bere una birra dopo cena col mio amico Nené. La bellezza di queste situazioni è che qui i ragazzi e le ragazze si conoscono tutti tra di loro, quindi anche se si esce in due, il tuo tavolo diventa il centro di un bellissimo andirivieni di giovani che ridono, scherzano, chiacchierano e si offrono da bere.
Quando ha chiuso il chioschetto dove stavamo bevendo, ci siamo spostati al "Bar Zenite", centralissimo, tra i più famosi, proprio di fianco al municipio.
L'incubo di ogni occidentale.
Entrando sembrava di trovarsi in un mix tra "il peggior bar di Caracas" e certe case di famiglie dedite al cannibalismo degli horror americani. Pavimento appiccicaticcio come se ci avessero spalmato anni di marmellata, luci tremolanti (non tutte; alcune non funzionavano proprio), vetri che sembravano smerigliati ma che erano invece sporchi da generazioni. Abbiamo ordinato birra in bottiglia (ho categoricamente rifiutato il bicchiere) e ho bevuto tenendo i piedi il più possibile sollevati da terra, onde evitare che si arrampicassero forme di vita sconosciute altrove.
L'impavido Nené ha ordinato un pezzo di morena fritta, che qui sgranocchiano con ostentata noncuranza, quasi fosse un Mars o una stecca di liquirizia; morena che, dall'aspetto, sarà incappata nella rete del pescatore ai tempi della deportazione degli schiavi. Non pago, ha chiesto un panino al tonno che faceva bella mostra di sé da chissà quanto tempo in una vetrinetta che non avrà mai conosciuto una spugna. Non so se esiste il karma, ma se così fosse, quel tonno dev'esser stato veramente un pesce cattivo per concludere così la sua esistenza!
Sono andato in bagno e ho davvero provato raccapriccio. Accendendo la luce, sono scappati via, zampettando sul pavimento, almeno 7 o 8 scarafaggi. Altri 3 o 4, sono rimasti fermi guardandomi accigliati, forse a rimproverarmi il fatto di non aver bussato.


Ieri sono stato invitato da Andreas e la sua nuova e bellissima fidanzata Vera ad una festa in piscina in un paesino che si chiama Calheta, che senza troppi fronzoli vuol dire caletta.
Non ho mai assistito ad una festa del genere e mi sono anche divertito!
Iniziamo col dire che eravamo, io ed Andreas, gli unici due bianchi.
La festa era iniziata a mezzogiorno e continuava fino a mezzanotte, noi siamo arrivati verso le 19.


E niente, è una festa che in Italia non può esistete perché dopo 4 minuti spunterebbe fuori il primo coltello a serramanico!
In pratica il divertimento consisteva nel ballare come folli e di buttarsi in acqua incuranti di chi ci fosse sulla traiettoria. Scontri, incidenti, ubriachi che cadevano dal parapetto (senza farsi nulla!!! Io sarei alle Molinette intubato e con un prete di fianco!!!), alcol senza freni; qui va molto di moda questo Grogo, un distillato della canna da zucchero senza pretese e, probabilmente, senza neuroni sopravvissuti.
Insomma, piscina piena di questi neri fisicatissimi, sorridenti e spericolati, incitati da un vocalist che urlava in creolo (ma tanto non capisco nemmeno quelli che parlano in italiano, io!). Tutti in acqua vestiti, con catenazza al collo e cappello e occhiali da sole anche di notte. Sembrava uno di quei video dei rapper di colore americani, solo che qui era evidente che c'era molto meno denaro... Infatti c'era molta meno topa!
Le poche ragazze che c'erano (1 ogni 5 direi, grazie alla genialata di marketing del proprietario che ha deciso di far pagare anche le donne), dovevano difendersi dalle avances pochissimo velate di numerosi e nerboruti pretendenti.
E si difendevano molto male.


Andando via, prima di addormentarmi in macchina mentre Andreas guidava, una domanda continuava a non darmi pace... Perché non ho preso un campione di acqua della piscina per farlo analizzare?

giovedì 9 luglio 2015

Tarrafal

In questi ultimi tempi molti amici stanno manifestando il proposito di trascorrere le ferie qui.
Beh, sicuramente è ora di pensare alle vacanze, essendo luglio; inoltre questo posto ha ancora il fascino di una meta "esotica" (ben pochi ci sono stati!). Infine, alcune situazioni di insicurezza a livello internazionale hanno portato diverse persone ad affacciarsi a questa prospettiva.
Ho cercato di spiegare bene a cosa sarebbero andati incontro... Qualcuno ha confermato e verrà, ma molti altri hanno desistito.
Ma forse non l'ho mai scritto chiaramente... com'è Tarrafal di Santo Amaro, nell'Ilha di Santiago, Cabo Verde?

A Tarrafal non c'è nulla.
Non ci sono resort lussuosi, spiagge attrezzate, discoteche di tendenza, locali vista mare dove fare aperitivo.
Perché Tarrafal è lontana dalle rotte classiche e più commerciali del turismo. Resta difficile da raggiungere, dopo un viaggio aereo piuttosto caro (oltre che scomodo) e un'ora e mezza di attraversata dell'isola in macchina, tra salite, discese, curve e capre che sbarrano il cammino.
La gente di Tarrafal è semplice, impiegata perlopiù in tre attività: agricoltura, pesca e disoccupazione. Molti di loro, nonostante la scuola, non parlano nemmeno il portoghese e si limitano al criolo.
Non ci sono svaghi. Alle dieci di sera le strade sono vuote e può capitare di bersi una birra in piazza come massimo della mondanità. La cucina è monotona.


Ecco. A parte questo, Tarrafal è un paradiso.
Tranquilla, silenziosa, la sua colonna sonora si compone di un attento mix di rumori del mare, canto di uccelli, frinire di grilli e musica che giunge dalle case.
La spiaggia è tra le più belle dell'arcipelago, senza ombrelloni, ma con bellissime palme da cocco che gettano ombra a sufficienza. La baia riparata difende dalle onde dell'oceano, l'acqua è di una temperatura a dir poco perfetta, il sole non manca mai.
Ci sono altre spiagge nei dintorni, completamente deserte, dove il vento tra le foglie rappresenta il massimo del rumore. Ad una si arriva addirittura a piedi camminando per 40 minuti in un antico acquedotto sotterraneo (io non ci sono andato, non sono ancora pronto a trascorrere così tanto tempo sotto terra!).
C'è un parco naturale a 15 minuti di macchina, ad un'altitudine di oltre mille metri e diverse possibilità di trekking, di sport, di pesca d'altura.
La gente è sorridente, accogliente, educata... bella! Se esci con un amico per una birra alle 21.00, torni a casa alle 2 e mezza di notte senza aver fatto altro che chiacchierare e conoscere gente.
La cucina è sempre la stessa, ma si parla di pesce freschissimo: pescato e grigliato. E siamo nel pieno della stagione dei manghi.
La musica è ovunque, i bambini sorridono.


Insomma, è un posto stupendo, ma bisogna esserci portati. Del resto, un piatto di spaghetti ed una birra sul terrazzo vista mare, sapendo che dopo si va a dormire anziché a ballare, non è per tutti.
E al mattino sveglia presto, che si va in spiaggia.