lunedì 8 agosto 2016

Momenti di varia umanità.

Se la mia fidanzata avesse la stessa regolarità di questo blog, passerei dei lunghi periodi di angoscia. Ma così non è, quindi vivo questo impegno che ho preso con me stesso con la spensieratezza che metto in tutte le cose della vita. O quasi.
Volevo riprendere, dopo pochi giorni dal post precedente, l'argomento viaggi; ma la stagione estiva sta portando tanto lavoro, tanti impegni e poco tempo per scrivere. Quindi salto a piè pari i discorsi in sospeso che vertevano su: voli in ritardo non specificato, gruppi whatsapp dal nome blasfemo, amici che si propongono di venirti a prendere in aeroporto e ci vengono in tram, passeggiate notturne per città deserte con topi di notevole stazza che cadono dai cornicioni e poi fanno gli indifferenti, addetti alle pulizie dei bagni dell'Aeroporto di Lisbona che ti minacciano brandendo uno scopettone. Non parlerò di nulla di tutto ciò.
Ma a rileggere le righe appena scritte, posso solo concludere che la mia vita è veramente difficile.


Qui è estate, fa caldissimo, talvolta piove e ci sono vita e fermento. Vita e fermento che, per esempio, si esprimono nel ragno che ha dato alla luce una nidiata di figliolanza aracnoide da qualche parte nell'impianto dell'aria della macchina cosicché oggi, accendendo il condizionatore, dai bocchettoni sono state sparate nuvole di ragnetti su tutto il mio corpo. Cose belle che danno un senso alla giornata.
La scorsa settimana sono stato a cena dai miei amici Sabina, svizzera parlante italiano, e Adi, chiamato "Model" per ragioni a me ignote, capoverdiano. Hanno una bellissima casa con un quintal (cortile interno) molto accogliente, arredato con divani, amache e sdraie. Invitati, oltre a me, il mio amico Andreas, svizzero, e Solange e Raissa, due sorelle della Guinea Bissau.
Cena, ovviamente, fonduta.
Ora, io qualche volta la fonduta l'ho mangiata in Piemonte. E devo dire che mi è piaciuta molto. Però era inverno, eravamo in montagna e la fonduta ci stava bene.
Qui invece si era a Capo Verde, in estate, con un caldo che Amon Amarth levati; inoltre Andreas, oltre ad aver messo nella fonduta una generosissima dose di "vino di mele", mi ha spiegato che in quel vino i veri uomini ci imbevono il pane prima di pucciarlo nel formaggio. E io che mi vanto di essere un vero uomo, perlomeno a tavola (anzi, forse ormai solo a tavola!), ho raccolto la sfida.
In conclusione, ho sudato come Adinolfi durante una maratona arcobaleno, ho iniziato a parlare correntemente le lingue di tutti i presenti, ho mangiato per asciugare (asciugare il formaggio fuso???) mezzo chilo di arachidi crude e, una volta finalmente a letto, mi è sembrato di stare su un Tagadà gestito da un rom sotto acidi. L'unica certezza è che le mie coronarie non hanno gradito.

Sabato scorso abbiamo vissuto, con Francesco e il nostro resident musicista Dany, un'avventura che di per sé è un perfetto spaccato della nostra vita qui a Tarrafal.
Avendo in programma appunto per sabato un cocktail party, siamo andati in settimana a prenotare il ghiaccio che avremmo poi ritirato poche ore prima dell'inizio della serata. Tutto a posto, tutto combinato, tutto ok.
Se non fosse che alle 19:30 il ghiaccio non c'era perché, come il tizio col quale ci eravamo accordati ha premurosamente voluto informarci, era già stato venduto. Con il solito savoir faire che mi distingue, gli ho domandato perché non avesse mantenuto il suo impegno con noi, al ché, imperturbabile, mi risponde che saremmo dovuti passare la mattina e avremmo trovato il ghiaccio. Pieno di amore per lui, per tutta la sua ascendenza compresa quella defunta, e per la sua progenie che immaginavo già in preda a malattie non letali ma sicuramente disturbanti, gli ho fatto notare che il ghiaccio dalla mattina alla sera si sarebbe probabilmente sciolto in virtù dei 35 gradi dell'estate capoverdiana. Dopodiché la conversazione stava abbandonando la comunicazione verbale per spingersi verso quella gestuale, quindi siamo andati via accompagnati dalla schiera di Santi che avevamo invocato quali testimoni imparziali.
Dove trovare quindi 40 kg di ghiaccio, in Africa e alle 8 di un sabato sera?
Abbiamo iniziato un pellegrinaggio da uno, che ci mandava da un altro, che cercava di rimandarci dal primo per poi convogliarci verso un terzo, che non ne aveva ma aveva sentito dire che forse un cugino di un suo amico aveva una conoscente che vendeva il ghiaccio che al mercato mio padre comprò.
E siamo infine giunti a casa di Dona Joana che ci ha condotti, scortati da una torma di bimbi chioccianti, su un terrazzo, passando per rampe di scale buie e pericolanti. Giunti in cima, scartando un paio di adolescenti che si stava facendo la doccia vestiti attingendo l'acqua a secchiate da una cisterna, siamo arrivati in uno stanzino che mandava un appetitoso profumo di formaggio di fossa (solo dopo abbiamo scoperto che erano stipati lì secchi e secchi di cibo per maiali... sicuramente tutta roba di qualità!).
Joana svuota un freezer a pozzetto scagliando letteralmente fuori decine di pesci congelati del peso di almeno 5 chili e alla fine, sotto sotto, trova il ghiaccio, prodotto congelando bottiglie e bottiglioni di acqua. Nemmeno se avessimo trovato il Graal sarei stato così felice. Anche perché, probabilmente, sarebbe stata una ricerca più facile!

Dei partecipanti alla festa di sabato, nessuno è venuto a lamentarsi per eventuali dolori di pancia. Anzi, a ben pensarci, non abbiamo più visto nessuno.
Alla prossima.

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