lunedì 22 agosto 2016

Sono arrivati i Cinesi non si vende più niente (niente più, niente più)

I capoverdiani hanno la musica nel sangue.
Lo so, sto cavalcando uno stereotipo vecchio e abusato, ma è così. Soprattutto in estate poi, epoca in cui le famiglie si riuniscono poiché gli emigranti rientrano per le ferie, ogni occasione è buona per festeggiare. Mi stupiscono certe cene che si protraggono fino all'alba con decine di invitati (le famiglie qui sono parecchio ramificate), convivi questi in cui si risolvono i problemi logistici semplicemente spostandosi all'aperto. Si chiudono le strade e chi deve passare fa il giro. Semplice, no?
I miei vicini, e non solo loro, adorano un tipo di musica che si chiama "cotchi po" e che ascoltano per ore di seguito a tutto volume. Io non so come facciano, visto che io e Francesco, dopo circa 3 minuti che subiamo il bombardamento sonoro, già meditiamo il suicidio. Può darsi che sia l'equivalente della musica che mettono ai rave in Italia, ma io non lo saprò mai, visto che non ho mai partecipato ad un rave ed ho ormai più che doppiato l'età utile per fare questa esperienza. Grazie al cielo.
Se volete sentire il "cotchi po", cliccate QUI, ma poi non ve ne lamentate con me!
Nel dubbio, inoltre, qui è iniziata la campagna elettorale, vissuta più come un mix tra una vittoria ai mondiali di calcio e una sfilata di Carnevale!



Noi in Europa ci siamo abituati ai cinesi. Del resto viviamo nel primo mondo, il consumismo fa parte della nostra cultura e a me sembra assolutamente plausibile che un cinese apra un negozio a Santhià, paese della provincia di Vercelli dove sono cresciuto, per guadagnare sani e sempre ghiotti Euro.
Ma quando ho scoperto che ci sono più di dieci negozi di cinesi a Tarrafal, nonché decine e decine sull'isola di Santiago, non ho potuto che stupirmi. A parte il nome, non vedo alcuna attinenza tra Santhia e Santiago. La mia domanda era dunque questa: cosa può spingere un cinese a lasciare le sue grandi città, o le sue valli coltivate a té, o le sue colline coronate di nuvole stile kung fu panda (oggi lo stereotipo si è impossessato di me!), per andare a vendere generi alimentari in un posto del quale sicuramente non ha mai sentito parlare?
Sul fenomeno della colonizzazione, o meglio, dell'acquisto di grosse fette di Africa da parte della Cina ci sarebbe da scrivere troppo, ma non sono qualificato per poter affrontare esaurientemente questo argomento.
Ma qui i cinesi contano eccome: mi hanno detto hanno "regalato" il palazzo del Governo a Capo Verde (o quello del Parlamento, non ricordo), hanno la concessione per la costruzione e lo sfruttamento del casinò che sorgerà all'interno del mega-resort che cambierà la faccia della capitale Praia, hanno decine di aziende di import-export e ancora più punti vendita. E incredibilmente, almeno per noi, qui il prodotto cinese è sinonimo di qualità!

La comunità cinese contribuisce al folklore locale. Si tratta di gruppi piuttosto chiusi, con chiare gerarchie tra chi comanda chi lavora. Escono in gruppo e quando vanno al ristorante ordinano grandissime quantità di cibo, ma sono famosi anche perché la notte si recano al mare e pescano a scopo alimentare alcune creature che i locali aborrono, come i granchi e i ricci di mare. Il gruppo che vedo spesso è di norma seguito da due grossi cani neri che le malelingue sostengono essere sempre differenti.
Parlano un crioulo alla canarino Titti, con le "elle" che sostituiscono le "erre", cosa che non sentivo dai tempi dei film di Charlie Chan.
Qualche tempo fa una persona mi ha esposto una teoria: costui sosteneva che tutti i negozi dei cinesi in realtà appartengono allo Stato e coloro che ci lavorano sono dei cittadini che devono scontare delle piccole condanne, per esempio per debiti o per evasione fiscale. Le loro pene detentive verrebbero quindi commutate in determinati periodi di lavoro all'estero.
Benché non creda molto a questa storia, che però spiegherebbe la perfetta identità dei prodotti, dei prezzi e la scarsa indole alla vendita del personale, il fatto che sia credibile è già di per sé indicativo. Mi verrebbe da pensare piuttosto, soprattutto dopo qualche chiacchiera con un cinese con cui sono più in confidenza, che si tratti di salariati. Ma comunque, non di imprenditori!
I cinesi qui non hanno nome. I capoverdiani chiamano ognuno di essi "Cina". Giusto per non fare confusione sulla provenienza.

Con grande dolore, devo constatare che tra le varie attività che normalmente attribuiamo ai cinesi e che in Italia troviamo in ogni angolo, qui ne manchino totalmente due: i ristoranti e i centri massaggi.
Per solidarietà, anche questo post non avrà un happy ending.



Ah, quanto mi piacerebbe che in Italia i politici sfilassero per strada!

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