sabato 14 marzo 2015

Mangia, prega, Maalox

Io penso che lo street food, o cibo da strada, possa essere considerato una importante chiave di lettura per la cultura di un popolo. Cosa c'è di più immediato, tipico e indicativo di un rivenditore di cibo ambulante? L'offerta di un boccone al volo è probabilmente una delle attività più vecchie e caratteristiche dell'uomo e, di paese in paese, si differenzia in maniera così radicale da risultare, molto più che un ristorante, vera espressione della gastronomia locale.
E quando si parla di cibo io che posso fare? Stare a guardare?

Qui a Tarrafal, come in tutto il mondo, i venditori di street food sono ubicati presso i luoghi dove l'attività umana è più viva: davanti alle scuole, presso il mercato, in piazza. A seconda del target di riferimento, varia ovviamente l'offerta. Qui non si parla di pizza al trancio o di panino-kebab-dopia-cibola-picante. Qui non si guarda in faccia a nessuno.

Dalle parti del mercato sono sempre presenti tre o quattro bancarelle di cibo da strada, definizione quanto mai azzeccata perché spesso nella via cucinano proprio, usando il manto stradale come pavimento per la propria attività, luogo per mangiare e pattumiera.
Una delle venditrici che mi ha più incuriosito è una signora che prepara panini; in un secchio che aveva iniziato la sua carriera come contenitore di idropittura, sono riuscito a scorgere una montagna di cipolla stufata. Mi sono fermato a guardare incuriosito: la signora pescava una cucchiaiata gigante di contenuto del secchio e la infilava in un panino già tagliato. L'idea del panino alla cipolla non mi convinceva sicché ho domandato come fosse guarnito il sandwich; la signora mi ha fatto vedere che dentro il secchio navigava, in un languido mare cipolloso, un branco di pesci arrostiti. Da quanto sono riuscito a capire, il pesce finiva intero, con testa e lisca, nel panino. Non ho ancora avuto il coraggio di provarlo.
Di fianco, però, una signora friggeva in una pentola posata a terra e, poiché "fritto è buono pure un calzino", mi sono deciso a provare: murena in pastella e pane fritto. Totale 200 escudos (meno di 2 €) per una porzione più che abbondante. L'ho mangiata a casa, come colazione alle 11 del mattino; molto saporita, con una punta di piccante come piace a me. Risultato: sazio fino a cena ma con un'acidità di stomaco che credo fosse dovuta, più che alla murena, all'olio di frittura, che presumo parente stretto dell'olio motore usato nella Parigi-Dakar del 1985.


Uno street food che mi ha sempre inquietato e che non so se mai proverò è il porco fritto. Ci ho messo molto a capire cosa fosse, perché non è di immediata comprensione: tocchetti bruno rossicci di forma irregolare, dentro contenitori di plastica portati sulla testa dalle venditrici. E la gente qui compra per strada pezzi di maiale e di cotenna, fritti in olio di qualità probabilmente non eccelsa, e se li sgranocchia camminando allo stesso modo in cui da noi si sgranocchiano i lupini e le arachidi alle fiere. Mi chiedo come mai gli ictus siano così diffusi...


La pasticceria è generalmente estranea alla cultura gastronomica di Tarrafal. Ma i capoverdiani mi sembrano piuttosto golosi di dolci, benché l'offerta sia veramente limitata. Se si cadesse vittima di un improvviso calo di zuccheri, però, non bisogna disperare! La venditrice porta a porta di biscotti è pronta a portare sollievo e consolazione. E ovviamente calorie. Ne ho mangiato uno e a distanza di due giorni non ho ancora ricominciato a produrre saliva.


Questo articolo non può essere esauriente poiché ho ancora molte prelibatezze da scoprire e recensire; in futuro integrerò, arterie e colesterolo permettendo.

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