giovedì 5 febbraio 2015

Piccoli atti di vita quotidiana.

Da bravo italiano medio, mi viene spontaneo fare il raffronto tra le varie situazioni che sto scoprendo qui a Tarrafal e quelle del mio paese. Per poi dirmi, tutto soddisfatto, "questo è uguale" oppure "questo è diverso dall'Italia".

Oggi, per esempio, sono stato in banca per aprire un conto corrente per la società. La gestazione è stata piuttosto lunga, a dire il vero.
I capoverdiani amano la burocrazia; anzi, la adorano proprio. E io che pensavo che non avessimo nulla da imparare in questo settore.
Comunque mi sono sentito un po' Asterix alle prese con il lasciapassare A38. Stamane entro alle 10:39 in banca, con tutti i documenti a posto (ero già stato rimbalzato due volte). Il mio numero era il 22, servivano il 15. A mezzogiorno, eravamo ancora fermi al 16. Passo verso le 12:30 e la gentile signora mi fa notare che manca un documento; preso dal panico, non volendo assolutamente rifare la fila, le dico di iniziare a compilare i suoi moduli e vado di corsa a procurarmi ciò che mancava.
E di roba ce n'è tanta, se si considera che, per aprire un conto, chiedono anche il nome, la data di nascita e la professione dei genitori!!!
Esco alle 12:45, affamato ma vincitore. E tutto questo per poter dare alla banca dei soldi; non voglio neanche immaginare se dovessi chiederglieli!

Nella zona di Tarrafal dove vivo, ho contato 11 minimarket (che comunque qui rappresenta la forma più strutturata di commercio).
E sono tutti, e dico tutti, di proprietà di cinesi.
La prima cosa che ho pensato è stata "Ma allora i cinesi non sono solo in Italia e, in misura minore, in Cina!".
Dopodiché si è posto il problema: come comunicare? Il cinese generalmente parla molto male qualsiasi lingua locale.
Se poi andiamo a considerare che il mio portoghese, attualmente, è ad un livello che è a metà tra un bambino brasiliano di 3 anni ed una scimmia ammaestrata del circo di Lisboa, l'impresa si presentava ardua. Mi sono aiutato con i gesti.
Quella che per me è stata una transazione commerciale, per un osservatore casuale doveva apparire come un rituale di corteggiamento di qualche tribù ferma al paleolitico.
Fatto sta: alla fine sono uscito senza ciò che cercavo, ma con una confezione di non meglio identificati legumi, o cereali, che somigliano in maniera inquietante a denti umani.
Vedremo di che sanno.

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